LIFESTYLE/ NIDO DI SETA STREGA ANCHE GUCCI COSI’ TRE GIOVANI VISIONARI CALABRESI RISPOLVERANO LE ANTICHE TRADIZIONI E RIPRENDONO AD ALLEVARE IL BACO DA SETA

Che la Calabria sia sempre stata una regione produttrice di seta pura non è scritto forse nei libri di storia ma è storia antica, tramandata nelle famiglie da generazione in generazione. Mia nonna, per esempio, e ancor prima sua madre, coltivava il baco da seta, e possedeva un telaio da cui produceva filati che ancora oggi possediamo. A San Floro, tre giovani visionari, Domenico, Giovanna e Mirian riannodano i fili di questa antica tradizione sulle colline di un piccolo paesino in provincia di Catanzaro. Se ne è accorta la maison Gucci, che è rimasta colpita da queste lavorazioni e già lo scorso anno ha annodato unn rapporto di collaborazione con i tre gioani imprenditori che hanno fatto un voto di amore nei confronti della loro terra e sono tornati in Calabria. Si chiama Nido di seta la loro cooperativa messa a punto per valorizzare un territorio pieno di ricchezze, ancora in gran parte sconosciute. Di loro hanno parlato un po’ tutti, anche i grandi giornali nazionali, come “Il Corriere della Sera” ha dedicato molto spazio al Nido di seta. Questi ragazzi hanno investito il loro tempo e le loro risorse su alcune filiere produttive del tutto dimenticate, anzi andate perdute, come la filiera del cotone e la filiera della seta.Esperienze come questa, stanno prendendo vita anche in altre aree calabresi, nel reggino, dove i paesi di derivazione greca hanno spesso una tradizione di lavorazioni antiche al telaio, per la produzione di coperte per il corredo, asciugamani, stole di seta.

 

 

Dal processo naturale della formazione del bozzolo, Miriam ha ottenuto un filo compatto e sottile come un capello, che ha inaspettatamente attirato l’attenzione dell’industria del lusso. In primis della divisione Equilibrium della maison Gucci, interessata al cambiamento del pianeta. “Stiamo sviluppando una filiera di allevamento della seta che consentirà a Gucci di produrre le sue prime sciarpe con fili provenienti da pratiche agricole biologiche. Gucci sarà anche in grado di seguire l’espansione degli agricoltori coinvolti, promuovendo la produzione rigenerativa della seta e riportando in vita la filiera abbandonata nella regione”, ha confermato Miriam.

La cooperativa Nido di seta è diventata anche fornitore di materia prima per le produzioni Gucci, con l’obiettivo di arrivare a produrre “il primo foulard di seta da filiera al 100% Made In Italy”. Il sogno di chi ha voluto sfidare la sorte e decidere di ritornare in Calabria è andato ancora più avanti di quanto loro stesi potessero immaginare. I ragazzi sono partiti da un terreno di 5 ettari con 3000 piante di gelso. Hanno così riportato in vita la memoria di Catanzaro capitale della seta, così com’era alcuni secoli fa. È nata una filiera di gelso-bachicoltura, partendo dalla coltivazione per arrivare alla lavorazione e quindi alla manifattura del prodotto finito.

Grazie a Nido di Seta si produce la materia prima, ma si realizzano anche capi da mettere in vendita. E c’è dall’altro: questa attività ha prodotto turismo. Infatti sono centinaia i ragazzi e gli studenti che vengono a visitare l’azienda, che ha organizzato corsi di tecniche di allevamento del baco, per poi passare alle tecniche di lavorazione e tessitura. La curiosità è molta, l’interesse è crescente verso quella che era un’attività completamente dimenticata, cancellata, ma che ora può portare ad un futuro importante in termini di produzione, di attività lavorativa, occupazionale e quindi turistica.

Domenico Vivino, Miriam Pugliese e Giovanna Bagnato hanno realizzato il loro sogno, hanno già raggiunto obiettivi importanti, come il recupero dell’ antico gelseto di 3000 piante, allo scopo di riportare in vita una nuova “via della seta”.

Forse non tutti sanno che dal XIV al XVIII secolo, Catanzaro era addirittura la capitale europea della seta, una tradizione antica, molto sentita. Giovanna, Miriam e Domenico avevano lasciato già da alcuni anni la Calabria in cerca di lavoro nel Nord Italia, e poi anche all’estero. Ma il richiamo della terra si è fatto sempre più forte. Così decidono di ritornare, avendo già in testa un progetto da realizzare. Un’idea che sembrava piuttosto un sogno, un’illusione. Qualcosa di irrealizzabile. Ma loro, invece, erano decisamente convinti di farcela. Così i tre giovani proposero al piccolo comune di San Floro di poter recuperare e utilizzare quel terreno abbandonato con oltre 3.000 gelsi ormai perduti. Passato un po’ di tempo tra un’autorizzazione e l’altra, nel 2014 hanno fondato la cooperativa Nido di Seta. I ragazzi ci sono divisi compiti: Miriam al processo artigianale della seta e delle tinture naturali, ai servizi turistici e all’amministrazione, Domenico all’ambito agricolo e dell’agriristorazione, Giovanna alla creazione di monili in seta e a dipingere i tessuti.

 

A San Floro c’è un museo della seta, nel Castello Caracciolo, con cimeli unici. C’è anche un percorso naturalistico nel cuore di una pineta. Gli ospiti possono anche degustare i prodotti biologici del territorio. I dati sono stati subito interessanti. Nel 2019 sono stati ospitati 6.500 turisti, provenienti da tutto il mondo. Poi purtroppo è arrivato il Covid-19 e tutto è stato rallentato. Ma i nostri ragazzi sono andati avanti, Nido di Seta ha organizzato una serie di corsi tematici sulla lavorazione e la tessitura, e anche sull’allevamento del baco da seta, richiamando notevole interesse dagli Stati Uniti, dall’Argentina e da diversi paesi europei.

I tre ragazzi della cooperativa sono convinti che «oltre a ricordare l’importanza della tutela del territorio, per noi il messaggio più importante da trasmettere è che dalla nostra cultura e dal nostro passato si possono porre le basi per il futuro: noi siamo seduti su una miniera d’oro, che è la nostra terra, ma che purtroppo non è abbastanza valorizzata».

Per i tre giovani imprenditori è importante tenere fede ai loro principi, andando avanti con determinazione. La loro impresa è nata non da finanziamenti pubblici o da capitali privati. Tutto si deve alla testardaggine e alla determinazione dei ragazzi, sempre più convinti di utilizzare al meglio le risorse che già esistono, per poter crescere e sviluppare idee innovative: «Non è vero che qui non cambierà mai nulla, va eliminata questa mentalità, perché siamo noi il cambiamento».

Così, di recente è stata lanciata l’iniziativa ‘Pianta un gelso’. L’idea è nata non solo per ampliare la loro produzione, ma soprattutto per dare a tutti la possibilità di essere parte integrante del cambiamento, grazie al progetto di agricoltura condivisa.

Per Giovanna, Miriam e Domenico si tratta di un progetto importante, perché il gelso ha una crescita veloce, tanto da essere utilizzato nei progetti di agroforestazione; non necessita di particolari tecniche di coltivazione e si adatta benissimo a qualsiasi tipo di terreno. E poi c’è un aspetto di particolare importanza: il gelso contribuisce a frenare il dissesto idrogeologico, grazie al loro particolare apparato radicale e ad un maggiore assorbimento di Co2. Un’ulteriore dimostrazione che con impegno e passione si possono raggiungere traguardi inimmaginabili.


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