LIBRI SOTTO L’OMBRELLONE DA METTERE IN VALIGIA PER CHI RIMANE IN CITTA’ MA ANCHE PER CHI AMA VIAGGIARE ANCHE SOLO CON LA FANTASIA

Libri sotto l’ombrellone, libri da non perdere, libri da regalare, libri da “degustare” per coniare con un pò di estremismo parolaio quel gusto lento nello sfogliare il libro, nell’odorarne le pagine quando sanno ancora un pò di stampa, come fossero un calice di vino con cui inebriare l’olfatto con i sentori e i tannini. Libri che ci fanno pensare. Libri che ci fanno capire. Libri che amiano tutta la vita. Libri che ci accompagnano per qualche indimenticabile ora. 

Per chi ama leggere anche o soprattutto l’estate, in barca o sotto l’ombra di un albero, in riva al mare o su un terrazzo che guarda le colline, per chi quando parte anche all’ultimo minuto prende un libro con sè per non essere mai solo, per chi rimane in città, ma anche per chi parte stando fermo muovendosi magari solo con la l’immaginazione. Libri tra scorribande vignaiole, immersioni nel mondo del cinema, viaggi fotografici e romanzi d’amore. Libri per chi ama le parole e a volte non trova quelle giuste “per dirlo”. Libri ma anche divertissment …

 

MANUALE DI AUTODIFESA ALIMENTARE PER LA NOSTRA SALUTE

DARIO BRESSANINI: FA BENE O FA MALE? MONDADORI 2023

Con il linguaggio semplice e l’approfondimento scientifico che l’hanno sempre contraddistinto, Bressanini smonta a una a una le nostre paure alimentari, permettendoci di trovare da soli le risposte che cerchiamo e, quindi, di fare la spesa e sederci a tavola con più consapevolezza e serenità. Dai salumi «cancerogeni» al famigerato olio di palma, dai misteriosi «zuccheri aggiunti» al temutissimo sale, oggi il cibo sembra più un nemico da cui difendersi che uno dei grandi piaceri della vita. Questo anche a causa del marketing, che sui temi dell’alimentazione si fa sempre più aggressivo, e della proliferazione di studi e articoli allarmistici che di scientifico hanno ben poco. È paradossale che, proprio quando abbiamo a disposizione un assortimento di cibo senza precedenti, non solo mangiamo troppo e male, ma siamo sempre più confusi e ansiosi rispetto a ciò che dovremmo o non dovremmo mettere nel piatto. La domanda che ci poniamo più spesso quando valutiamo un alimento è: «Fa bene o fa male?». E pretendiamo risposte facili, un sì o un no. Peccato che sia impossibile trovare una risposta senza prima comprendere come funzioni il motore della ricerca scientifica, come distinguere la scienza dalla pseudoscienza, o uno studio serio da una bufala di ultima generazione. In questo nuovo libro, perciò, Dario Bressanini ci dà una serie di strumenti per evitare di cadere nelle trappole dei media e della pubblicità. Lo fa prendendo in esame alcuni falsi miti, come la clorofilla che farebbe bene alla pelle e ai capelli, il cioccolato che «aiuta a dimagrire», ma anche a ottenere un premio Nobel, o il sale rosa dell’Himalaya che in realtà è prodotto in Pakistan. Avvalendosi di studi scientifici inoppugnabili, ci guida nella scelta di alcuni alimenti basilari, per insegnarci a distinguere le informazioni di cui abbiamo davvero bisogno da ciò che il marketing vuole darci a intendere.

 

LETTERATURA E ARTE A ROMA ATTRAVERSO I SUOI PERSONAGGI

SANDRA PETRIGNANI: ADDIO A ROMA NERI POZZI 2012

Due poeti si scambiano versi di notte sul Tevere: sono Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna. Una donna bellissima e coraggiosa, fra molti amori e lotte per il potere, si batte per imporre l’arte astratta: è Palma Bucarelli. Uno scrittore giovane e già carismatico fa la spola fra Torino e la capitale per amore: è Italo Calvino. Un artista prestigioso e chiacchierato conquista la città con una mostra sensazionale: è Picasso. Una scrittrice cerca casa nel centro di Roma bisticciando con il marito: è Natalia Ginzburg. Un giovane americano scribacchia pettegolezzi sui giornali per pagarsi la casa in via Margutta: è Truman Capote. Pittori leggendari si arrabbiano in continuazione con le generazioni più giovani: sono Giorgio De Chirico e Renato Guttuso. Un marito e una moglie romanzieri litigano furiosamente in pubblico, ma forse si adorano: sono Elsa Morante e Alberto Moravia. Una grande poetessa austriaca e un importante autore svizzero si amano e si dicono addio in un Caffè di via del Babuino: sono Ingeborg Bachmann e Max Frisch. Un’icona della musica pop e un artista maledetto hanno un affair travolgente, ma lei lo lascia per tornare dal suo infedele innamorato: sono Marianne Faithfull, Mario Schifano e Mick Jagger. Un regista di fama internazionale e il suo più celebre sceneggiatore, che è anche uno scrittore meraviglioso, intrecciano, rompono, ricompongono una turbinosa collaborazione: sono Federico Fellini e Ennio Flaiano.
Tra fatti della vita e clamorose dispute letterarie e artistiche, nascita e morte di vivaci testate giornalistiche, l’irripetibile stagione che vide i protagonisti della scena culturale romana al centro di un interesse mondiale, dalla povertà estrema dei primi anni ’50, al furore della Neovanguardia, ai ribaltamenti del Sessantotto fino alla decadenza dei primi ’70, rivive in un colorato affresco per celebrare un recente eppure lontanissimo passato. Dalla ritrosia di Burri alle nevrosi di Carlo Emilio Gadda, dai sadici scherzi di Goffredo Parise alle scazzottate di Consagra, dalle perfidie di Anna Magnani al nuovo gusto camp di Alberto Arbasino, la città della Dolce Vita incontra la sua leggenda in un racconto fastoso e pervaso di ironia. A condurre per mano il lettore, fra via Veneto e piazza del Popolo, da una galleria d’arte a un set cinematografico a una libreria è una ragazza trasteverina, che si chiama Ninetta – come il Ninetto Davoli che ha svolazzato leggero in tanti film e versi di Pasolini – e che traghetterà il suo desiderio di diventare scrittrice da quell’epoca di grandi alla «nuova preistoria» contemporanea.

 

STARE IN ASCOLTO ESERCITANDO UN’ARDUA PASSIVITA’

RAINER MARIA RILKE: LETTERE A UN GIOVANE POETA ADELPHI 1980

Le Lettere a un giovane poeta furono realmente indirizzate da Rilke al giovane scrittore Kappus fra il 1903 e il 1908. Pubblicate postume nel 1929, si diffusero in breve tempo nei paesi di lingua tedesca come una specie di breviario – non tanto d’arte quanto di vita. Oggi, nella generale riscoperta di Rilke, ormai sfrondato di quegli omaggi sensibilistici che per molti avevano a lungo impedito l’accesso alla sua grande poesia, queste pagine tornano a essere una guida preziosa. Fin dalle prime righe, esse ci danno l’accordo che poi sentiremo risuonare in ogni parola di Rilke: «La maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si compiono in uno spazio che mai parola ha varcato, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose esistenze, la cui vita, accanto alla nostra che svanisce, perdura». Scrivere, per Rilke, era al tempo stesso un atto che poneva esigenze assolute, mutando la vita intera, e un oscuro processo biologico, una fermentazione delicata dove alla coscienza spettava soprattutto di stare in ascolto, esercitando un’ardua «passività attiva». E proprio in queste lettere Rilke ha saputo illustrare la sua «via» alla letteratura con le parole più precise e più dense. Unite a due altri brevi testi di carattere affine (le Lettere a una giovane signora e Su Dio), le Lettere a un giovane poeta vengono qui proposte nella celebrata versione di Leone Traverso, che fu uno dei primi e più felici interpreti di Rilke in Italia. Rilke viene oggi riconosciuto come il maggior poeta tedesco dell’età moderna, come uno dei più grandi interpreti lirici della spiritualità moderna, ma la sua opera si ricollega più che altro al secolo precedente, ai simbolisti francesi (di cui tradusse anche diverse opere) e al clima decadente di fine Ottocento/inizio Novecento. Uno dei temi di fondo delle opere di Rilke è la religiosità, profondamente influenzata dall’ambiente cattolico della sua famiglia, ma che si modifica nelle opere seguenti ai viaggi in Russia in cui era venuto a contatto con l’anziano Tolstoj cioè in Storie del buon Dio e nel Libro delle ore.

 

ENRICO MORELLI: LA DONNA FELICE MONDADORI 2022

 

I libri di Raffele Morelli sono un toccasana per riconnettersi con noi stessi. Generalmente facili da leggere, rapiscono e aprono nuovi orizzonti accompagnando con apparente leggerezza il lettore tra i meandri dell’anima e la sofferenza umana. Spiegano semplicemente quello che forse già sappiamo o intuiamo ma non siamo ancora capaci di intraprendere. Guidano nella strada da percorrere come un manuale per la sopravvivenza svelando a volte cose antiche quasi arcaiche alle quali in troppe occasioni non facciamo più caso.

«Sempre più spesso le donne che incontro nel mio lavoro di psicoterapeuta hanno perso il contatto con la parte più antica del proprio essere: i modelli esterni fanno credere loro che staranno bene quanto più si adegueranno alle mode del momento, alle opinioni degli altri, a modelli mentali che quasi sempre dimenticano, ignorano o ripudiano le radici eterne del femminile. Ma più ci si allontana da questo sapere originario, più arrivano i disagi, i sintomi fisici, l’infelicità.»

In questo libro, Raffaele Morelli indica la strada per riconnettersi alle forze misteriose e potenti che abitano dentro ciascuna donna, fedeli alleate per affrontare i momenti bui, le difficoltà, le incombenze di tutti i giorni. La mente naturale – ci spiega Morelli – è uno dei cardini della femminilità e si esprime prima di tutto nella creatività, specialmente nelle azioni manuali. Gesti creativi come il disegno, la scrittura, la pittura, il giardinaggio, la cucina sono il perno della cura dei disagi femminili, così come l’immaginazione: la fantasia è una dote tutta femminile, una cura per l’anima, e innesca l’autoguarigione. “Solo nelle donne i regni dell’anima e quelli della terra sono intimamente legati: maternità, concretezza, eros, danza sono alcuni dei capisaldi del femminile, accanto alle capacità profetiche, al vedere oltre che tutte le donne possiedono. Le donne sanno che esiste un’energia primordiale che veglia su di loro, si affidano al ritmo della vita e anche nei momenti difficili hanno sempre la capacità di andare oltre, perché il femminile sa che tutto è eterno divenire.”

 

 

STRUGGENTE ROMANTICO FANTASTICO E NON SOLO NELLE IMMAGINI

TANO D’AMICO: ORFANI DEL VENTO, MIMESIS 2021

 

Tano D’amico non è solo un fotoreporter e giornalista. Le sue immagini brulicano di poesia. Tanto più è evidente quando il soggetto che fotografa fa parte di quella categoria che viene definita “gli ultimi”, come fossero relitti della società opulenta. Tano, invece, riesce a coglierne la bellezza, l’autenticità, al di là delle categorie discriminanti basate sulla ricchezza. Sono uomini e donne di cui disvela il mistero, come se ne toccasse il cuore, ne interpretasse l’anima. Ho avuto il piacere di intervistarlo in occasione dell’uscita del suo precedente libro, “Misericordia e Tradimento”, in cui spiegava, “Siamo quello che fotografiamo”. Una frase che sinceramente non ho mai più dimenticato, che racchiude la sua storia, la sua poetica, il suo sguardo sul mondo. Il libro si chiama “Orfani del vento. L’autunno degli zingari”, Mimesis edizioni/Sguardi e Visioni, e contiene parole e foto, il suo approccio sul mondo, le sue sensazioni nell’avvicinarsi al popolo Rom.

Tano D’Amico si confronta da sempre con le questioni storiche e la sua fotografia gronda sangue e memoria mista a poesia. I suoi libri, sono concepiti come dei taccuini in cui le immagini si alternano a pagine di solo testo, di riflessione sulle metamorfosi della realtà sociale e culturale. In questo suo ultimo libro è piacevole soffermarsi anche su quello che scrive oltre alle fotografie che vengono pubblicate nel libro. Un misto di visioni e poesia che in alcuni momenti trafiggono il cuore.

Con l’ultimo di questi libri, ormai  il terzo pubblicato con Mimesis Edizioni, Tano D’Amico rilegge e riscrive un nucleo significativo del proprio archivio, a cui in passato aveva già dedicato due pubblicazioni: Zingari. Fotografie di Tano D’Amico (Marcello Baraghini Editore, 1988) e Il giubileo nero degli zingari (Editori Riuniti, 2000).

 

 

L’incontro con i Rom e dunque il primo nucleo di fotografie a loro dedicate risalgono ai primissimi anni Ottanta del secolo scorso. Ma nelle stampe fotografiche pubblicate nel libro, così come in quelle esposte in mostra (stampe sempre analogiche), accanto al suo nome Tano ha preferito non scrivere luogo e anno dello scatto. Il risultato è un insieme di visioni e composizioni in cui, al di là degli scenari attraversati (per lo più desolati, spesso drammatici) e delle figure ritratte (soprattutto donne e bambini), l’occhio del fotografo pare accordato su una persistente nota di struggimento.

 

Scrive Tano “Ho cercato gli zingari quando il mio mondo era ormai crollato. […] Ho seguito le loro vicende, le loro feste i loro lutti. Vorrei queste immagini fossero guardate come i fotogrammi di un film muto. Sono gli zingari della mia vita. Le immagini le regalano loro”.
Dai suoi primi scatti fino ad oggi, Tano D’Amico ha scelto di mettere a fuoco gli attori più marginalizzati della scena sociale (disoccupati, senza-casa, malati mentali, detenuti, immigrati, donne, studenti, operai) e di raccontare con continuità le battaglie dei diversi movimenti che contestano l’ordine su cui si regge il mondo in cui viviamo.

Roma è stata ed è tutt’ora la protagonista della fotografia di strada di Tano D’Amico, che nel corso di più cinquant’anni ha raccontato soprattutto la vita di chi vive ai margini della città storica: ha fotografato gli ultimi di tutte le borgate e le manifestazioni per il diritto alla casa, oltre alle occupazioni delle case, da Tor Bella Monaca a Casal Bruciato, dalla Magliana a San Basilio, da Primavalle a Rebibbia.

Anche lontano dalla capitale, Tano D’Amico ha seguito da vicino i passaggi più intensi e anche drammatici della nostra storia (dal colera a Napoli del 1972 all’occupazione della FIAT a Torino nel 1980 alla morte di Carlo Giuliani a Genova nel 2001) e ha continuato ad avvicinare e a mettere a fuoco un’umanità per lo più ignorata o deformata dal sistema dei media.

(PH, Simonetta Ramogida, inaugurazione della mostra di Claudio Bassi a Roma, dicembre 2019)

 

Nei viaggi e negli incontri fuori dall’Italia (da Francoforte a Gerusalemme, da Mogadiscio a New York), nei fotogrammi nati dal confronto diretto con gli urti della storia (l’Irlanda della guerra civile, la Grecia dei colonnelli, la Spagna franchista, il Portogallo della Rivoluzione dei garofani, la guerra in Bosnia, il conflitto in Palestina, la resistenza in Chiapas) si riconosce la sua poetica, il suo “segno”. Una fotografia di Tano D’Amico non può, in definitiva, essere confusa con nessun altro autore.

Tano D’Amico nasce nel 1942 nell’isola siciliana di Filicudi, ma a sette anni si trasferisce a Milano. Frequenta la facoltà di scienze politiche alla Cattolica, ma dopo il servizio militare si trasferisce a Roma, già in pieno fermento sociale nei mesi che precedono il fatidico ’68. La partecipazione attiva ai movimenti lo conduce, quasi suo malgrado, sul difficile sentiero della fotografia: i compagni riconoscono l’originalità del suo sguardo, e il fotografo sceglie di condividere il loro impegno in giornali e riviste come Potere OperaioOmbre Rosse, e soprattutto Lotta Continua, con cui collaborerà fino alla definitiva chiusura del quotidiano. Successivamente, le sue immagini troveranno spazio anche sull’altra storica testata della nuova sinistra italiana, il Manifesto.

 

(CLAUDIO BASSI E TANO D’AMICO, PH SIMONETTA RAMOGIDA)

 

L’archivio di Tano D’Amico non è stato ancora adeguatamente valorizzato dalle istituzioni culturali italiane.

“Vorrei queste immagini fossero guardate come i fotogrammi di un film muto. Sono gli zingari della mia vita. Le immagini le regalano loro”. Grande fotografo di strada, nel suo nuovo libro Orfani del vento (Mimesis) Tano D’Amico torna a raccontare i diseredati, i vinti, gli irriducibili. Chi è condannato a non comparire, a restare prigioniero del suo cliché o confinato in qualche box di cronaca tendente al nero.

Stavolta tocca ai Rom. “Un popolo da guardare, ascoltare, molto più che da leggere. La parola scritta non li ha mai amati: l’immagine, la musica, sempre». Sarà che «gli insoddisfatti, gli umiliati, i senza potere si sono sempre rivolti all’immagine”. Un volume fotografico di 80 scatti memorabili, seguiti da riflessioni dal pensiero lungo. Come fece negli anni Settanta con gli scontri di piazza tra gli autonomi e la polizia, anche qui Tano mostra quello che non viene mai mostrato e le sue immagini in un bianco e nero vividissimo strappano il belletto a ogni retorica e populismo demonizzanti. Demistificano a meraviglia. Si staccano dalla logica di consumo e producono memoria, nel segno di Roland Barthes.

Nella loro astrazione dalla contingenza, insufflano così realtà, umanità, attenzione, verità e anelito di giustizia. Perché “i razzisti possono tollerare immagini di denuncia, ma non immagini degli altri nella loro piena dignità di esseri umani”. Immagini incontrollabili, le sue, metafore altre e invitte. “Ho cercato gli zingari quando il mio mondo era ormai crollato. Non avevo più giornali, gli operai e la loro cultura erano stati sconfitti a Mirafiori… Ho seguito le loro vicende, i loro lutti. Lutti tanti, troppi.

 

tano d’amico, SIMONETTA RAMOGIDA

SCRIVERE DESTRUTTURANDO LA SCRITTURA

SCRIVERE ZEN: NATALIE GOLDEBERG UBALDINI EDITORE ROMA 1987

(e’ il dettaglio che fa la precisione)

 

Natalie Goldberg è un’artista poliedrica: dipinge e scrive poesie. Scrive poesie, racconta ad altri come riuscire a farlo senza ansia e tiene corsi di scrittura creativa in tutti gli Stati Uniti. Ha un’ancoraggio alle radici molto forte, di cui parla nel suo manuale di scrittura creativa “Scrivere Zen”. Come ogni artista, parla dell’anima, della creatività, di come lasciare che la penna strida sulla carta e poi come debba scorrere via, fluida, rapida, leggera. Ha il sorriso che trovi nelle persone che si sentono in pace con sé stesse, che dormono sonni agitati ma che non si arrendono mai. A leggere tra le sue pagine, ci si trova in uno stato confusionale, a tratti sbigottito, a volte persino irritatante. Poi, arrivati all’epilogo, quello che ti pervade è il senso di potercela fare, di riuscire a iniziare da dove si è interrotta Natalie, per scrivere la tua storia.

Essere troppo didascalici, lasciarsi andare alla descrizione compulsiva, è deleterio. Natalie però focalizza l’attenzione sull’importanza del dettaglio. Quando ricordiamo, è attraverso i sensi: il profumo della salsedine assaporato dai finestrini dell’auto alla fine del viaggio; quello dei tigli lungo i viali del centro; l’azzurro del cielo sopra Parigi, di una tinta che stempera dal grigio all’indaco; il suono di un vecchio liuto durante il matrimonio di un’amica; la consistenza della seta tra le dita.Il dettaglio riporta alla memoria uno stato d’animo, per questo è importante riuscire a sfruttarli a nostro vantaggio per evocare una particolare emozione, una situazione specifica.

Molto spesso capita di non essere precisi nella scrittura, e questo è un fenomeno che coinvolge le donne. Lo riporto perché rientro anch’io nella categoria delle donne che sfruttano molti “forse – ma – probabilmente – credeva – s’illudeva – non era certa“. Eccola qui, la precisione che manca nella scrittura e che la rende incerta, come se si avesse paura a mostrare quello che c’è davvero, con la tendenza a mostrare tutto camuffato nell’ottica di una probabilità e mai una certezza. Sto falciando tutte le indecisioni da ciò che sto scrivendo: voglio certezze, non (altri) dubbi! L’autrice sostiene che il revisore debba essere un Samurai, deciso e ferreo nella sua opera di taglio e lima. Quello che è importante è riuscire a comprendere quali siano le cose da tagliare: non sempre è facile individuarle, specie per l’autore che già tutto conosce e sa di quello scritto. Proprio per questo è necessario affidarsi ad un correttore di bozze che possa essere anche spietato ma che riesca a cogliere le incongruenze, i vuoti, fino agli errori grammaticali più insignificanti e i refusi, che chi scrive non vede più dopo le molte correzioni del testo.

PRECURSORI DELL’ENOGASTRONOMIA IL LINGUAGGIO DEL VINO

MARIO SOLDATI: VINO AL VINO, ALLA RICERCA DEI VINI GENUINI BOMPIANI EDITORE 2017

 

 

(IL VINO BISOGNA CONSIDERARLO COME IL VOLTO DI UNA FANCIULLA, COME UN CIELO, UN TRAMONTO, UN PAESAGGIO)

 

Oggi c’è un’ormai consolidata tradizione enologica e sempre di più enoturisti si addensano in cantina visitando borghi antichi in Valpolicella, nel Soave, nella Chiantigiana, tra i Trulli, nelle masserie della Murgia, sull’Etna dove tra le colline che portano a “iddu” si produconi magnifici vini vulcanici da vignati autoctoni. Il vino si fa sempre più cultura del vino, oltre che piacere, desiderio, convivialità. Ed ecco quindi scoprire gli epigoni di questo pullular di libri sul vino, i vitigni, l’enogastronomia. Perchè Mario Soldati oltre ad essere regista e scenggiatore fu anche un precursone di questo filone enologico che nei nostri giorni è divenuto sempre più diffuso e interessante.

Figura eccezionale nella storia culturale del novecento, Soldati racconta i suoi tre viaggi compiuti attraverso l’Italia alla ricerca dei vini genuini, alcuni famosi, altri noti, altri ancora no. Ma non si tratta di una semplice guida enologica: è un libro che parla di paesaggi, di uomini, di case, ville e castelli incontrati e amorevolmente scrutati in un itinerario alla ricerca di una civiltà autentica, legata alla terra e al clima, che ha nel vino uno dei suoi prodotti più sinceri, frutto dell’equilibrio tra natura e cultura. Dal Trentino-Alto Adige alla Sicilia e alla Sardegna, l’autore si addentra nella provincia italiana alla ricerca del ”vino prelibato, che schiva ogni pubblicità”, che ”vuole essere scoperto e conosciuto in solitudine, o nella religiosa compagnia di pochi amici”. Pur non essendo un enologo professionista, come tiene più volte a ricordare, Soldati considera ciascun vino dotato di una sua unicità, si impegna a comprenderlo e ne apparecchia un ritratto per i lettori, quasi si trattasse di una persona. un libro di molte pagine, 815 per l’esattezza, ma che si possono leggere appunto “degustando” qua e là le sensazioni che lasciano zompando da un capitolo all’altro, da una sensazione all’altra, come si fa con un calice di vino…

 

Scrive Soldati: “la luce produce generalmente vini più vivaci, da bere più giovani: il Grignolino, la Barbera, il Nebbiolo, l’Arneis, la Fresia,freschezza e leggerezza della luce. Il sole del pomeriggio produce vini più calmi, più posati, da bere più vecchi: il Barolo, il Barbaresco, il Dolcetto, il Moscato, corpo e potenza del calore, vini della destra del Tanaro /cit pag. 710)”.

UN PO’ DI CINEMA UN PO’ DI STORIA DEL CINEMA UN PO’ DI STORIA ….

FRANCESCO PICCOLO: LA BELLA CONFUSIONE, EINAUDI 2023

 

Libro vincitore del Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa 2023
Libro finalista del Premio Viareggio-Rèpaci 2023 – Saggistica

 

I libri di cinema hanno la caratteristica di essere libri facili da leggere, almeno quasi sempre, non impegnativi anche se trattano temi forti come i film sulla guierra, sulle violenze, ma hanno in genere un’alternanza tra scrittura e fotografia che li rende attraenti e di semplice lettura, ma i messaggi, si sa, possono essere invece molto importanti. Questo è un libro non certo per gli addetti ai lavori, ma anche per gli addetti ai lavori, che ripercorre un periodo d’oro per il cinema italiano e per i registi e gli artisti che hanno caratterizzato il secolo trascorso.

 

“Mastroianni ha capelli ingrigiti, borse sotto agli occhi, è svuotato dalla dieta. marcello era un gran mangiatore e di questa dieta soffrì molto. l’invecchiamaneto lo rende molto diverso dal Mastroianni de La Dolce Vita” (cit. pag.146).

 

Otto e mezzo e Il Gattopardo sono due film epocali, girati contemporaneamente, e che tutti crediamo di conoscere benissimo. Ma se torniamo a quel mitico 1963, con Claudia Cardinale che corre da un set all’altro, Burt Lancaster che deve dimostrare di non essere un cowboy, Sandra Milo che ama l’amore più del cinema, Marcello Mastroianni troppo felice per interpretare il suo personaggio, ecco che si spalanca un mondo intero. Intanto, fuori dal set, si dibatte un Paese in cui la cultura è ancora politica, e l’epopea di un celebre romanzo rifiutato e poi riscoperto s’intreccia alle vicende personali e pubbliche di Federico Fellini e Luchino Visconti, sublimi registi avversari.

Guardando dietro le quinte, Francesco Piccolo ci fa rivivere lo spirito irripetibile di un’epoca. Un racconto unico e travolgente sulla forza del genio e su quella del destino.

La storia del cinema non è poi così diversa dalla vita: apparentemente lineare, ma costellata di incontri fortuiti, appuntamenti rincorsi o mancati, decisioni prese all’ultimo minuto e imprevedibili coincidenze. Fatalità cruciali che permettono a un’opera di venire alla luce, con le precise caratteristiche che poi tutti ricorderanno. La scelta di un’attrice, la luce sul set, le vicissitudini sentimentali del regista o di un comprimario – così come i tagli nel budget o una scena cambiata all’improvviso – possono scrivere a modo loro una pagina del genio universale. Il 1963 è stato l’anno di Fellini e di Visconti. Un anno decisivo per il cinema italiano, che ha visto la nascita di Otto e mezzo e Il Gattopardo. Ma prima di diventare i capolavori che ben sappiamo erano due incredibili scommesse, nonché il campo di battaglia tra due artisti rivali e profondamente diversi: mentre Claudia Cardinale cambiava il colore dei capelli secondo il capriccio di chi la dirigeva, l’intero contesto culturale italiano si stava preparando a sposare l’una o l’altra visione del cinema e del mondo. Ecco cos’è La bella confusione: inseguendo come un detective le figure e gli episodi che hanno fatto la Storia, Francesco Piccolo ha setacciato lettere, filmati, appunti e diari, interviste, pettegolezzi, testimonianze. Perché in questo romanzo diverso da qualsiasi altro romanzo i personaggi si chiamano Marcello Mastroianni, Ennio Flaiano, Sandra Milo, Tomasi di Lampedusa, Camilla Cederna, Suso Cecchi d’Amico, Burt Lancaster e Pier Paolo Pasolini. Muovendosi tra il mito e l’aneddoto, la voce inconfondibile dell’autore di Il desiderio di essere come tutti risveglia milioni di ricordi e ci regala la luce perduta di un’epoca. Un documentario fatto di parole: la potenza dell’arte, i segreti del cinema, i duelli di un’Italia che non sapremmo più immaginare.

E ADESSO GIOCHIAMO CON LE PAROLE….

RAYMOND QUENEAU: ESERCIZI DI STILE 1987

 

«Un episodio di vita quotidiana, di sconcertante banalità, e novantanove variazioni sul tema, in cui la storia viene ridetta mettendo alla prova tutte le figure retoriche (dall’epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese) giocando con sostituzioni lessicali, frantumando la sintassi, permutando l’ordine delle lettere alfabetiche… Un effetto comico travolgente».

Umberto Eco

Esercizi di stile è un esilarante testo di retorica applicata, un’architettura combinatoria, un avvincente gioco enigmistico. Però è anche un manifesto letterario (antisurrealista), un tracciato di frammenti autobiografici, la trascrizione di una serie di sogni realmente effettuati da Queneau. È perfino un testo politico, nonché un’autoparodia. Questo è quanto emerge dalle riflessioni che Stefano Bartezzaghi ha dedicato, in un lavoro di anni, a questo libro-capolavoro. E la sua postfazione al volume diventa complementare alla classica e sempre illuminante introduzione di Umberto Eco, del quale si conserva, ovviamente, anche la traduzione. In appendice, alcuni esercizi lasciati cadere nell’edizione definitiva, un indice preparatorio e l’introduzione, scritta da Queneau per un’edizione del 1963.

Esercizi di stile (Exercices de style) è una collezione di racconti dello scrittore francese Raymond Queneau. Consiste in 99 versioni della stessa semplice storia, rivisitata ogni volta in uno stile letterario differente.

Il libro è stato pubblicato in Italia nel 1983 dalla casa editrice Einaudi, nella traduzione di Umberto Eco con testo originale a fronte. Una nuova edizione, con aggiunta di testi e una postfazione di Stefano Bartezzaghi è uscita nel 2001. La trama è semplice e banale: “a Parigi verso mezzogiorno, su un autobus affollato, un uomo si lamenta con chi lo spinge di continuo e, non appena trovato un posto libero, lo occupa. Il narratore, due ore dopo, rivede l’uomo alla Gare Saint-Lazare con un amico, che gli dice di far mettere un bottone sulla sciancratura del soprabito”. Più che la trama, minima, sono le novantanove varianti stilistiche ad interessare il lettore: ci sono quelle enigmistiche quelle retoriche  quelle con i linguaggi settoriali, quelle con i gerghi e le lingue maccheroniche (con anglicismi, volgare, ingiurioso…) e le varianti di tipi testuali, come il testo teatrale, il testo scolastico. È presente, nel libro, anche una traduzione della storia in latino maccheronico

I novantanove texticules, come li definisce Queneau stesso con un gioco di parole, utilizzano quindi le più svariate figure retoriche e i più disparati registri linguistici per dirci sempre la stessa cosa e vogliono mostrarci come nella parola e nella lingua siano implicite infinite potenzialità, che vanno solo lasciate libere di esprimersi. Lungi pertanto dall’essere un semplice gioco di parole, gli Esercizi di stile esprimono in pieno la portata dell’assurda estetica di Queneau: un’estetica fondata da un lato sulle facezie verbali e dall’altro su una rigorosa edificazione geometrica che accompagna tutte le sue opere.

A lungo gli Esercizi di stile sono stati considerati intraducibili, non solo perché legati alla lingua francese ma anche per il talento stilistico dell’autore. Più che una traduzione, quindi, l’edizione italiana, curata da Umberto Eco, è una riscrittura secondo le regole imposte dall’autore. Secondo quanto dichiarato da Eco nell’Introduzione al libro, egli ha apportato le seguenti modifiche e aggiunte:

  • Ha eliminato il Loucherbem, una versione legata a un gergo francese, e l’ha sostituito con il Reazionario che Queneau aveva lasciato nella prima edizione e aveva tolto nella seconda.
  • Ha eliminato l’Homophonique e l’ha sostituito con Vero?, una seconda traduzione di Alors.
  • Mentre Queneau ha scritto una sola versione degli Omoteleuti Eco ne ha scritte due.
  • Mentre Queneau ha scritto un solo lipogramma (in E), Eco ne ha realizzato uno per ogni vocale.

 

GIANNI CELATI: A CURA DI MARCO BELPOLITI RIGA 40 QUODLIBET 2022

 

Gianni Celati, a cui “Riga” dedica un nuovo numero dopo quello del 2008, è oggi uno degli scrittori italiani più importanti e significativi.Questo volume raccoglie suoi testi narrativi e saggistici, interviste e conversazioni radiofoniche, parti dell’inedito Taccuino Siciliano del 1984, brani delle lezioni bolognesi al DAMS dedicate alla letteratura americana, testi sul cinema e la letteratura, su James Joyce, da lui tradotto, su Giacomo Leopardi e Alberto Giacometti, e poi sulle idee di spazio e di paesaggio. Seguono una scelta di recensioni e commenti alla sua opera, dal 1971 al 2008, da Calvino a Manganelli, da Luigi Ghirri a Stefano Bartezzaghi. Completano il volume un Album di oltre quaranta fotografie, dagli anni Settanta al Duemila, e una serie di saggi scritti per l’occasione che approfondiscono l’opera di uno dei maestri della letteratura del secondo Novecento e oltre.

Perché Gianni Celati?, ci chiedevamo undici anni fa al momento di pubblicare un volume di “Riga” a lui dedicato. Ci rispondevamo: perché è uno dei maggiori narratori italiani viventi. Da allora l’affermazione ha trovato ulteriori riscontri. L’uscita del volume della collana Meridiani Mondadori dedicato alla sua attività di scrittore (Romanzi, cronache e racconti), di una serie di suoi libri presso l’editore Quodlibet, la traduzione dell’Ulisse di Joyce presso Einaudi, hanno confermato l’importanza di Gianni Celati nel paesaggio letterario e culturale italiano. Per queste ragioni abbiamo deciso di ristampare questo numero di “Riga” da tempo esaurito e ricercato da studiosi e semplici lettori.
Come è accaduto in altre occasioni, a partire dal primo numero della collana dedicato ad Alberto Giacometti, non si tratta di una semplice ristampa, ma di un vero e proprio rifacimento del volume. Sono circa 200 pagine in più, risultato di ricerche ulteriori sul suo lavoro, dell’emersione di scritti dispersi, saggi e recensioni uscite nel frattempo, così da completare il quadro della sua ricezione e interpretazione nella cultura italiana. Abbiamo deciso di non ristampare alcuni testi che sono poi stati, nel frattempo, inclusi in nuovi volumi, come le pagine della riscrittura di Comiche, il suo primo libro del 1971, che possono ora essere lette in un libro Quodlibet, così come le interviste che usciranno in un volume di sue conversazioni e interviste di prossima pubblicazione. Abbiamo sostituito quelle conversazioni con altre disperse, alcune delle quali tratte da nastri radiofonici, di cui diamo qui la trascrizione.
I testi di Celati coprono un arco di tempo che va dal 1970 al 2008, ovvero gran parte della sua attività di scrittore e saggista. Qui ci preme sottolineare la stretta connessione che esiste tra l’attività narrativa e quella che possiamo definire “teorica”, un rapporto importante tra il novelliere e il critico letterario. Un nesso che solo una raccolta completa delle sue opere saggistiche potrà mettere in giusta luce. Si tratta di un aspetto importante nella letteratura italiana del Novecento. Come Calvino, Manganelli, Sciascia e pochi altri, Celati è uno scrittore e insieme un saggista, un autore che riflette sul proprio lavoro fornendo non solo chiavi di lettura, ma anche i movimenti interni del narratore, oltre ad essere un acuto interprete di tanta letteratura e pensiero filosofico.
Si parte da un testo dedicato a Gilles Deleuze, un consiglio di traduzione inviato a Giulio Einaudi, suo editore, e dal capitolo di Finzioni occidentali, successivamente omesso, sulla letteratura americana del 1975. I suoi scritti saggistici e critici qui raccolti attraversano quel decennio e il successivo focalizzando progressivamente i temi dello spazio, della narrazione, dello stile, che segneranno l’uscita negli anni Ottanta dei suoi libri più noti: Narratori delle pianureVerso la foce e Quattro novelle sulle apparenze. Il Taccuino siciliano inedito, qui presentato da Valentina Pagnoni e Nunzia Palmieri, è uno dei testi di snodo del passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta, accompagnato da altri due esempi di descrizioni narrative del paesaggio e dei luoghi già presenti nel precedente volume. La traduzione ha svolto un ruolo importante nel cambio di passo di Celati; qui c’è un breve esempio di una dispensa universitaria dedicata allo stile narrativo degli scrittori angloamericani per le sue lezioni al DAMS di Bologna tra il 1983 e il 1984, accompagnato da un saggio di Franco Nasi che mostra in modo efficace l’importanza della traduzione nello scrittore ferrarese. Pubblichiamo anche alcuni appunti di traduzione di Joyce apparsi sul supplemento culturale “Domenica” del quotidiano “Il Sole 24 Ore”.
Nella sezione che a suo tempo Celati stesso aveva voluto intitolare Magazzini d’arte e di scarti, abbiamo incluso alcuni testi sullo spazio e la narrazione, oltre a testi dedicati ad autori per lui di riferimento come Leopardi o alla figura di Alice nella letteratura e nel cinema; il cinema stesso risulta un aspetto importante della sua attività, qui presente con alcuni suoi scritti e saggi di lettura della sua opera nella sezione dedicata alla critica. Negli Articoli e recensioni abbiamo ampliato la selezione dei pezzi dedicati alle sue pubblicazioni dal 1971 a oggi, così da fornire un panorama ampio della ricezione e interpretazione del suo lavoro di narratore, traduttore, poeta e cineasta. Si sono aggiunti nella sezione Saggi, che riprende i testi apparsi nel volume Gianni Celati, Riga 28, a cura di Marco Belpoliti e Marco Sironi, un testo di Elio Grazioli sul rapporto tra Celati e Ghirri e uno di Alessandro Borsa sulla rilettura dei Fratelli Marx che riguarda un periodo importante dell’opera di Celati.
Per chiudere, abbiamo pensato di pubblicare un Album delle foto che Celati stesso aveva donato a Paola Lenarduzzi nel corso della pubblicazione del precedente volume di “Riga”, molte delle quali annotate da lui. Un percorso visivo e biografico di un autore che al visivo ha dedicato così tanta importanza.

 

 

 


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