TRAVEL/ NEI BOSCHI DELLE SERRE CALABRE TRA I CARBONAI DI BROGNATURO E LE PIPE DI VINCENZO GRENCI PARE CHE ANCHE SANDRO PERTINI NE POSSEDESSE UNA

Il tesoro nascosto delle Serre Calabre sono i Carbonai di Brognaturo. Il nostro viaggio alla scoperta della regione ci porta oggi lungo la vis che porta a Serra San Bruno,  sulle montagne circostant e, in particolare, nei boschi alle falde del Monte Pecoraro. Qui, ancora oggi è possibile assistere alla produzione del carbone ad opera dei “Cravunàri”, i Carbonai, antico mestiere risalente ai Fenici, tramandato di padre in figlio, che resiste al trascorrere del tempo nonostante l’immensa fatica che occorre affrontare per realizzare il prodotto finito.
Si comincia con il taglio e l’accatastamento della legna dei boschi di queste montagne, ricche di larici e lecci, che va selezionata e disposta pezzo per pezzo, secondo un certo ordine di grandezza e in maniera geometrica, fino a  formare lo “scarazzu” o covoni, una cupola a base circolare che può superare i sei metri d’altezza, ricoperta di paglia bagnata e terra per permettere una combustione senza fiamma e favorire la disidratazione e la cottura del legno che diventerà carbone, e sulla quale vanno praticati dei buchi per consentire l’uscita del fumo. Dopo aver appiccato il fuoco all’interno dello ‘scarazzo’ questo va controllato e ‘civàto’ ossia rifornito sempre di legna attraverso le ‘vucche’ per mantenere acceso il fuoco, il cui calore e fumo trasforma il legno in carbone. In base al colore del fumo che fuoriesce dal covone il carbonaio si rende conto se il carbone è pronto, quindi si procede allo ‘scarico’, ovvero si getta acqua sulla ‘cravunèra’, rompendo il guscio esterno ed estraendo finalmente il carbone che andrà poi trasportato a destinazione. Ci vogliono circa 30 giorni perchè il carbone si materializzi. Un mestiere antico e gravoso che tuttavia, tra le montagne delle Serre vive ancora ancorato alle tradizioni di alcune famiglie che questo mestiere hanno per così dire ereditato.
Brognaturo è un piccolo paesino costruito in petra, d’inverno molto freddo e umido per via delle montagne circostanti dove è stata conservata questa tradizione, oggetto ormai di studi antropologici e meta “fotografica” per imprimere nell’occhio magico della camera lo slendore del vero. Agli inizi del Novecento rappresentava una delle maggiori industrie forestali della regione e accoglieva intorno a sé lavoratori che provenivano anche da altre regioni, un lavoro duro e meticoloso, sottoposto a intense turnazioni diurne e notturne per tenere sempre sotto controllo la carbonaia ed evitare che la legna si infiammi e vada perso il lavoro di mesi.

Oggi questo antico mestiere è ancora praticato nei boschi della Carbonai con qualche beneficio introdotto dal progresso. Le quantità prodotte da ogni carbonaio sono aumentate ed una carbonaia può arrivare a contenere anche 700 quintali di legna. Ogni zona d’Italia ha ovviamente sviluppato termini tecnici differenti a seconda del dialetto parlato. L’arte consiste nel tagliare legna nei boschi, trasportarla in spiazzi piani e aperti (chiamati ial) accatastarla in carbonaie  ed innescare il processo di combustione lenta che porta alla carbonizzazione ossia alla trasformazione della legna che è un composto organico incarbone

In passato il carbone vegetale veniva utilizzato come bene succedaneo del carbone fossile e per alcuni usi speciali dovuti all’alto potere di assorbimento. Ora il carbone vegetale, noto anche come carbonella, è richiesto per alimentare i barbecue e i forni a legna delle pizzerie. Il carbone vegetale ha forti proprietà adsorbenti, ma questo tipo di carbone vegetale viene prodotto con un processo di distillazione secca o carbonizzazione artificiale.

I carbonai, per esercitare il loro mestiere, dovevano abbandonare il paese dall’inizio della primavera fino ad autunno inoltrato per trasferirsi con la famiglia in montagna dove c’era la legna da tagliare e dove bisognava sorvegliare giorno e notte la carbonaia per 5 o 6 giorni, per ottenere da 30 a 40 quintali di legna circa 6 forse fino a 8 quintali di carbone.

Le donne, oltre a partecipare alla produzione, badavano ad ogni altra cosa di necessità della famiglia.

Il comune di Bondone ha ricordato il mestiere di carbonaio nell’art. 1 del proprio statuto e ha dedicato a quel mestiere un monumento posto nella piazza principale del paese. Qui la figura del carbonaio viene ricordata ogni anno il 9 settembre in occasione dell’adempimento del voto fatto ai tempi della peste del 1630, poiché quel giorno di festa i carbonai con le loro famiglie tornavano in paese.

All’interno del Parco naturalistico Forestale di Poggio Neri vi è un “museo del parco” che descrive la tradizionale attività di carbonai della popolazione ivi residente.

Brognaturo è nota anche per le sue pipe. Vincenzo Grenci le produce e le esporta in tutto il mondo.In assoluto, le migliori, più preziose e ricercate sono le pipe realizzate con il “ciocco” di radica dell’Erica arborea, ovvero un legno durissimo e dalla venatura particolare. La radica calabrese è considerata la migliore al mondo per qualità, dato il basso contenuto di tannini e proprio nella provincia vibonese vengono prodotti eccellenti esemplari di pipe, tutti pezzi unici realizzati a mano, esportati in tutto il mondo grazie principalmente alla qualità del legno del territorio.Piccolo e grazioso paese situato nelle Serre vibonesi ad un’altura di 750 metri circa sul livello del mare, accanto al fiume Ancinale, il nome Brognaturo va, probabilmente, riferito alla “brogna”, cioè uno strumento musicale che in epoca medievale era utilizzato dai pastori per richiamare le loro mandrie. Alcuni però pensano che derivi dal nome di un altro paese i cui abitanti si sono poi riversati a valle per fondare appunto Brognaturo. Sembra si trattasse di pastori o comunque di allevatori, i quali solevano far pascolare le loro bestie in questa zona dove, in seguito, decisero di insediarsi. L’abitato è stato poi costruito attorno ad un Convento, complesso nel corso dei secoli più volte riedificato. Fece parte del territorio di Arena. Ma fu ceduto a diversi signori fino alla seconda metà del 1600 quando fu acquisito dal Convento di San Domenico di Soriano al quale rimase legato fino ad inizio ‘800, periodo in cui si verificò la fine della feudalità.  Nel 1811 venne riconosciuto come Comune autonomo.

Il punto di riferimento è appunto la famiglia Grenci, senza la cui arte la pipa non avrebbe avuto un successo così duraturo. Il capostipite, il maestro Domenico Grenci, dopo essere emigrato negli Stati Uniti riuscendo a diventare famoso per la sua abilità, fece ritorno in Calabria, nel suo paese natale, dove continuò la produzione di questi veri capolavori di artigianato, apprezzati anche all’estero. Le pipe di Brognaturo risultano, infatti, al primo posto nelle collezioni degli amatori più illustri. Questi piccoli capolavori dell’artigianato locale, realizzati con la migliore radica di Erica arborea che nasce in questa zona, sono pronti dopo una lunga e paziente attesa per la stagionatura del legno, che può durare dagli otto agli undici anni.

Le venature del legno rivelano la preziosità degli esemplari creati, piccole sculture in miniatura che hanno un valore di mercato molto alto e vengono vendute in tutto il mondo. Il segreto di tanto successo risiede in tre fattori: la qualità dei materiali impiegati, la cura dei particolari, la fantasia dei modelli. Ancora oggi la famiglia Grenci tiene alta la fama delle pipe di Brognaturo, che nel corso dei decenni hanno conquistato una vera e propria clientela d’élite, dal presidente Pertini sino a Bearzot e al sindacalista Luciano Lama.

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