Ryuichi Sakamoto, il compositore e musicista giapponese che ha attraversato il pop, lo sperimentalismo e la scrittura di colonne sonore di film da Oscar come L’Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci. Ha vissuto per la musica fino alla fine.
IL RICORDO DI PAOLO FRESU OGGI SU FB
“Ho sempre amato la musica e il pensiero che permea quella di Ryūichi Sakamoto, che ci ha lasciato dopo una lunga malattia.
Ho amato il suo tocco e ammirato la sua idea di musica contemporanea mai densa e in perenne movimento.
Quasi a voler dialogare con la vorticosa vita delle metropoli giapponiche alle quali contrappone i silenzi zen dello shintoismo e del buddismo con il ritmo dilatato dei suoi santuari e dei suoi templi.
Ho amato il brano “Isola” interpretato mirabilmente da Samuele Bersani e da Ornella Vanoni e ho a volte suonato sopra “Trioon 1” tratto da uno degli album registrati con il compositore tedesco Alva Noto.
E ho molto amato “Casa”, registrato assieme a Jaques e Paula Morelenbaum proprio nella casa di Antonio Carlos Jobim e a lui dedicato.
L’ho visto dal vivo un’unica volta a “La Cigale” di Parigi molti anni fa, e mi colpì l’essenzialità della scena.
Pochi elementi di luce, un Kintsugi da ricostruire nella memoria visiva ed emozionale.
Sono tornato dal Giappone pochi mesi fa, e durante quel magnifico viaggio ho spesso pensato a Sakamoto, fino a quando, una sera, non l’ho trovato in tv mentre suonava “Merry Christmas Mr. Lawrence”, colonna sonora del film di Nagisa Ōshima.
La sua testa piegata sulla tastiera del pianoforte appariva tra i manga e gli anime degli affollati canali televisivi,
tra Hello Kitty e il fastidioso suono delle voci neomelodiche che sembrano essere cresciute a Napoli.
Quasi una istallazione; un essenziale video in bianco e nero che ricordava altre opere artistiche e multilinguistiche ben più magnificenti come quelle con Shiro Takatani, Daito Manabe, Zakkubalan e Apichatpong Weerasethakul.
Ryūichi Sakamoto è stato uno dei migliori fotografi del presente.
Aedo di un tempo sospeso e sperimentatore insaziabile e aperto.
Il vero testimonial di una terra insulare, il Giappone, che guarda il mondo e che il mondo osserva.
Oggi perdiamo una silenziosa voce tra le più cristalline e rappresentative degli ultimi decenni”.
Paolo Fresu.
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