FOOD/ IL GRANO SALENTINO: DAI TARALLI DEI MESSAPI ALLA PASTA DEL DUCA

di ANGELA ABBRESCIA
Il nome del pastificio deriva da due grandi ‘duchi’, Duke Ellington e il Duca Bianco,
alias David Bowie. Perché una delle due ‘anime’ dell’azienda Del Duca, Daniele
Marsano, ha un passato da musicista e ci tiene molto. E con la stessa carica vitale con
cui si dedicava al pianoforte oggi manda avanti, insieme alla moglie Gabriella, uno dei
pastifici artigianali più apprezzati in Italia e all’estero.
Anche Gabriella proviene da un percorso completamente diverso: la scuola milanese
di design Marangoni, dove diventa modellista. A Milano conosce Daniele, si sposano e
meditano sul da farsi. Il richiamo della terra d’origine, il Salento, è forte: “Lì – racconta
lui – c’era tanto da fare. Bisognava restituire a questa terra, non solo prendere”.
E cosa c’è di più vicino alla terra del grano? E così, a Parabita, nel leccese, comincia
l’avventura. Una storia, quella del grano, che in Salento risale a epoche antichissime.
Le prime testimonianze, secondo alcuni, potrebbero essere dei taralli ritrovati nella
necropoli messapica di Oria. Il Salento è ricco di ritrovamenti risalenti ai Messapi,
popolo nomade le cui prime attestazioni risalgono all’VIII secolo a.C. e che aveva
occupato la gran parte della penisola salentina. Una delle più interessanti necropoli,
ricca di sarcofagi, è stata ritrovata ad Alezio, un comune a poca distanza dal mar Jonio,
dove sta per partire un’importante campagna di scavi.
Il pastificio diventa dunque l’obiettivo dei coniugi Marsano, che ammettono di aver
dovuto cominciare da zero, non avendo una tradizione familiare dalla quale partire.
“Abbiamo studiato tanto, uno studio matto e disperato” chiosa Daniele. Il risultato è
una pasta di alta qualità, ottenuta da grani duri esclusivamente italiani e in gran parte
pugliesi, che viene trafilata in bronzo e poi essiccata. “Distesa, e non appesa.
Altrimenti il reticolo proteico si stressa e poi in cottura rilascia molti più amidi”
spiegano. L’essiccazione avviene a 40 gradi (“per preservare le materie prime”) e dura
da 25 a 45 ore.
La pasta viene prodotta in numerosi formati e sapori e viene imbustata a mano,
quella lunga, o meccanicamente, le altre. Ci sono tipologie originali, come la pasta con
canapa sativa “che contiene tutti gli aminoacidi essenziali presenti in natura” oppure
al limone e pepe – perfetta con il pesce – o ancora all’arancia e carota, ed altre ancora.
Non mancano i formati ottenuti con i grani antichi, e in particolare con la farina di
grano Senatore Cappelli. La caratteristica che salta all’occhio è la ruvidezza,
fondamentale secondo i produttori.
“In Italia ormai – spiega Daniele – i micro-pastifici sono tanti. E riescono ad andare
avanti. La cosa davvero importante per noi è la sostenibilità della filiera. La grande
distribuzione ha disarticolato il senso della comunità”. Infatti il pastificio Del Duca
vende solo ai ristoratori e ai negozi. Niente vendita online. Prima del Covid, la
produzione andava dalle 60 alle 80 tonnellate, destinate per metà al mercato estero, e
di queste ultime l’80% a ristoratori soprattutto francesi, belgi e olandesi.
La pandemia non li ha risparmiati, facendo perdere il 32,8% del fatturato. “Ma ci
rialzeremo” assicura Daniele. Attualmente nel pastificio lavora solo la coppia, avevano
due dipendenti che ora sono in cassa integrazione. “Ma ci sono segnali di ripresa e
presto li faremo rientrare – assicurano – d’altronde gli italiani mangiano in media 30
chilogrammi di pasta all’anno, quindi…”.

Clicca sotto per chiudere la ricerca