ART/ PAUL KLEE A MILANO, L’ILLUSTRATORE COSMICO CONVINTO CHE ALL’ORIGINE DELLA PITTURA CI SIA LA RELIGIONE

Paul Klee, l’illustratore cosmico convinto che all’origine dell’arte ci sia il bisogno di religione. Milano ospita fino al 3 marzo la mostra “Paul Klee. Alle origini dell’arte”, a cura di Michele Dantini e Raffaella Resch, che presenta un’ampia selezione di opere del maestro sul tema del “primitivismo”, con un’originale revisione di questo argomento che in Klee include sia epoche preclassiche dell’arte occidentale (come l’Egitto faraonico), sia epoche sino ad allora considerate “barbariche” o di decadenza, come l’arte tardo-antica, quella paleocristiana e copta, l’Alto Medioevo; sia infine l’arte africana, oceanica.

 

Il concetto di “primitivismo” in Klee assume connotazioni diverse rispetto a quelle comunemente utilizzate a proposito delle avanguardie storiche. L’interesse per tutto quanto, in arte, è “selvaggio” e “primitivo” si desta in Klee in coincidenza con il suo primo viaggio in Italia e la scoperta dell’arte paleocristiana a Roma, tra l’autunno del 1901 e la primavera del 1902.

In seguito al viaggio in Italia Klee si considererà un “epigono”: vale a dire ultimo nato, erede tardivo di un’illustre civiltà giunta al tramonto. E questa conclusione non lo abbandonerà mai in seguito, spingendolo a trasformare, come lui stesso racconta nei Diari, la delusione in “stile”. Ha origine qui, da un’esperienza in parte dolorosa al cospetto dell’Antico, la propensione di Klee alla beffa e al pastiche. L’artista cerca in opere d’arte “primitive” e in repertori desueti quell’arte della deformazione, o “satira in Grande Stile”, che gli permette di infrangere il gusto monumentale e anticheggiante entro cui si era formato a Monaco.

Klee è un grande conoscitore della storia dell’arte occidentale in tutta la sua ampiezza e varietà. Pressoché in ogni momento della sua attività istituisce rapporti nuovi e inattesi con questa o quella componente della tradizione e si nutre di memorie figurative, in modo non nostalgico.

 

 

Per necessità insieme storica e di temperamento, l’omaggio si intreccia in lui intimamente alla parodia. Pari all’interesse per la caricatura, che evolve in lui rapidamente in direzioni diverse e più complesse della semplice vignetta da foglio di giornale, è l’interesse per il rinnovamento dell’arte sacra, sviluppatosi in particolare a partire dagli anni in cui Klee collabora alle iniziative del Blaue Reiter con Kandinskij e soprattutto con Franz Marc. Klee è convinto che alle origini dell’arte ci sia una religione, un “popolo” o una comunità storica e linguistica provvista di simboli comuni e riti condivisi.

 

 

Ed è convinto che occorra oltrepassare le iconografie tradizionali. A partire dal 1912-1913 Klee dissemina le proprie immagini di ideogrammi, rune o elementi “alfabetici” di invenzione. Si sforza di rinviare l’osservatore al processo che sta dietro l’immagine; di sollecitare in lui domande attorno al senso di ciò che vede; di indurlo a leggere e decifrare con attenzione. Guarda all’arte bizantina, all’arte celtica, ovviamente all’illustrazione primo-rinascimentale tedesca per trovare precedenti di un’arte (per lo più sacra) intimamente congiunta alla parola e alla “rivelazione”. In seguito, negli anni Venti e Trenta, il suo interesse per l’epigrafia si nutre di riferimenti agli antichi alfabeti cuneiformi medio-orientali e alla geroglifica egizia. È durante gli ultimi anni della Grande Guerra che Klee vive una sorta di “conversione”, che lo porta a privilegiare temi “cosmici” e a distaccarsi dalle attitudini parodistiche mostrate in precedenza. Klee, in questa fase, immagina di abitare presso “il cuore della Creazione”, vicino alla mente di Dio, e l’arte diventa archetipo, formula di tutte le cose esistenti. I suoi modelli, validi ancora negli anni Venti e Trenta, sono l’illustrazione tedesca tardo-medievale, le miniature celtiche o mozarabiche o l’arte del tempo della «migrazione dei popoli».

Il quadro (o ancor più il disegno) si trasforma in una sorta di pagina di diario “metafisica”: l’opera non si osserva più o meno fuggevolmente, ma “si legge” a vari livelli, come una sorta di partitura musicale. L’artista concepisce l’arte in modo nuovo, “mistico” appunto, in un rapporto indissolubile tra pittura e musica, immagini e parole.
Le sezioni in cui verrà suddivisa la mostra racconteranno questo processo di formazione artistica. Dalla caricatura al periodo in cui Klee si definisce anche “illustratore cosmico”; a un primitivismo di tipo “epigrafico”, la cui sezione di riferimento non a caso verrà intitolata “alfabeti e geroglifiche d’invenzione”.

 

 

Una sezione viene dedicata al teatrino di marionette che Klee aveva costruito per il figlio Felix, a testimonianza del suo interesse per l’espressività infantile e quindi per le origini primordiali dell’arte che l’autore, coerentemente con il suo tempo, riteneva dovessero cercarsi nelle espressioni artistiche di alcune popolazioni di interesse etnografico. Insieme a esemplari di marionette verrà presentata una selezione delle opere etnografiche del Mudec. I manufatti extraeuropei, lungi dal fornire un elemento di comparazione diretta con i lavori di Klee, riferiscono di come l’artista si sia avvicinato, abbia corrisposto con l’universo fantastico, antropologico e stilistico delle arti extraeuropee.

Infine, la sezione dedicata a “policromie e astrazione” designa un diverso insieme di opere, caratterizzate, oltreché dal rigoroso disegno geometrico per lo più associato a motivi architettonici, dalla trasparenza di differenti velature di colore.
Klee viene quindi presentato sia attraverso le sue opere astratte e policrome, conosciute e amate dal grande pubblico, sia attraverso i suoi meno noti lavori caricaturali; al tempo stesso, puntuali ricerche sulle fonti, sui repertori iconografici e formali e sui documenti testuali danno conto della complessità del sostrato culturale dell’artista, della vastità della sua produzione e dell’ampiezza delle tecniche da lui utilizzate.

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