MOVIE/ ROBERTO ROSSELLINI “IL PITONE” COME LO CHIAMAVANO GLI AMICI CI LASCIAVA OGGI NEL 1977 IL CINEMA MONDIALE PERDEVA IL PADRE GENIALE DEL NEOREALISMO

Roberto Gastone Zeffiro Rossellini
(Roma, 8 maggio 1906 – Roma, 3 giugno 1977)

 

VITO ANNICCHIARICO IL PICCOLO MARCELLO IN ROMA CITTA’ APERTA COSI’ LO DESCRIVE NEL LIBRO PUBBLICATO DA GANGEMI IN CUI RACCONTA IL SET

 

 

 

ECCO IL RACCONTO DEL PICCOLO MARCELLO NEL LIBRO DI SIMONETTA RAMOGIDA

 

PER  ME   ERA  COME  UN  PADRE

 

 

….Cominciai a lavorare verso la seconda parte dell’anno, perche’ ricordo che faceva molto caldo. E noi sul set eravamo vestiti con gli abiti invernali. Il film fu presentato a settembre 1945, ma Roberto Rossellini e Sergio Amidei cominciarono a pensare al film gia’ due mesi dopo la Liberazione di Roma che avvenne il 6 giugno 1944. Quindi lavoravamo con il caldo dell’estate.

 

Roberto Rossellini per me, era come un padre, ed aveva capito che …a stomaco pieno lavoravo meglio.

 

Roberto Rossellini si metteva seduto accanto a me sul marciapiede davanti alla sala di posa. La mattina io arrivavo a Via degli Avignonesi, e parlavamo insieme per un tempo indefinito e poi d’un tratto magari lo sentivo dire ‘’Pronti, si gira!’’ E poi capitava che dicesse agli altri componenti del cast ‘’Oh ‘sto ragazzino e’ un fenomeno!’’ Ma lui aveva un modo tutto suo di lavorare. Parlava per ore, e ore e poi finalmente ci faceva provare le scene, e ancora provare, fino a che decideva che era arrivata quella giusta. Allora si poteva fare il ciak. I tedeschi, per esempio, non voleva mostrarli semplicemente cattivi. Era come se volesse entrare dentro la loro psicologia, mostrare la loro corruzione, per renderli umanamente comprensibili. Solo cosi’ la loro cattiveria  poteva divenire evidente. Non sai la fatica a imparare a memoria quella frase che dovevo dire: ‘’ Bisogna stringerci tutti in un blocco compatto contro il comune nemico’’…

Roberto Rossellini me la fece ripetere almeno trenta volta quella frase  prima di girare.

Noi avevamo tutti i nostri abiti personali. Non erano previsti abiti di scena. Tanto e’ vero che io girai con i miei vestiti, e allora la produzione mi compro’ degli abiti nuovi, con i quali sembravo un signorino. Io mi vergognavo tanto, a farmi vedere dai miei compagni sciuscia’ cosi’ ripulito. Non riuscivo a capire. I miei vestiti venivano utilizzati sul set, e con quelli nuovi andavo in giro tutto il giorno.

Solo la tonaca di Don Pietro era stata noleggiata da Roberto Rossellini per Aldo Fabrizi, e poi come e’ d’uso nel mondo dello spettacolo l’abito talare Aldo Fabrizi lo tenne per se’ in memoria del film. Solo che faceva tanto caldo e il film si svolgeva in inverno, mentre noi giravamo in estate. I miei amici li portavo in un magazzino vicino Piazza Capranica per farli vestire con gli abiti d’inverno, mentre fuori invece faceva un gran caldo. Era estate e noi con quegli abiti ci facevamo certe sudate… Pure mio fratello Aldo, che era piu’ mingherlino di me, aveva due anni in meno, ero riuscito a farlo lavorare per un mese. Lui prendeva 500 lire al giorno.

 

 

 

 

Roberto Rossellini sapeva maneggiare molto bene i suoi attori. Sia i professionisti che le persone come me che non avevano mai fatto cinema. Aveva molta pazienza, e amava parlare con le persone. Lui non aveva rapporti professionali con le persone, ma rapporti d’amore. Era un uomo di grande sensibilita’ e intelligenza, e sapeva guardare lontano. Piu’ di chiunque altro, anche tra il gruppo dei cineasti e sceneggiatori suoi contemporanei. Quando riusci’ a convincere Aldo Venturini di finanziare il film, Sergio Amidei disse che lo aveva stregato. Lui lo conosceva bene. Roberto Rossellini riusciva ad ammaliare chiunque. Bastava solo che lo volesse. Era un grande affabulatore, ma anche un uomo di grande generosita’ dall’intelligenza geniale.

 

 

 

 

Claudia Cardinale, da quella grande attrice che e’, diceva di lui che

 

’Era un tale affabulatore, che ti metteva nella condizione della bambina che ascolta la favola, la sera, prima di andare a dormire, con gli occhi sgranati, e la bocca spalancata. Lui parlava, parlava: raccontava storie straordinarie. Certo, fisicamente non era bello. Però, quando cominciava a parlare, capivi perché poteva risultare affascinante: era una specie di incantatore di serpenti’’.

Invece Massimo Ghini che in Celluloide, aveva recitato il ruolo di Roberto Rossellini, in una intervista ricordava che i suoi amici lo chaimavano ‘’il pitone’’, perche’ riusciva ad avvinghiare come un pitone, la sua preda, purche’ lo volesse.

 

 

 

 

Mentre Roberto Rossellini diceva di se’:

 

‘’Sono un regista di film non sono un estata, e non credo che saprei indicare con assoluta precisione che cosa sia il realismo. Posso dire pero’ come io lo sento, qual’e’ l’idea che me ne sono fatto. Forse qualcuno potrebbe dire meglio di me. Una maggiore curiosita’ per gli individui. Un bisogno che e’ proprio dell’uomo moderno, di dire le cose come sono, di rendersi conto della realta’ direi in modo spietatamente concreto, conforme all’interesse, tipicamente contemporaneo, per i risultati statistici e scientifici’’.

 

Roberto Rossellini scriveva nel 1952 che si trattava per lui di

 

‘’Una sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza ricorrere allo
stratagemma d’inventare lo straordinario. Una coscienza di ottenere lo straordinario con la ricerca. Un desiderio, di chiarire sé stessi e di non ignorare la realtà, qualunque essa sia. Ecco perché nei miei film, ho cercato di raggiungere l’intelligenza delle cose, dando loro il valore che hanno: assunto non facile, anzi ambizioso e tutt’altro che lieve, perché dare il vero valore a una qualsiasi cosa significa averne appreso il senso autentico e universale. Il realismo per me non è che la forma artistica della verità. Quando la verità è ricostituita si raggiunge l’espressione. Oggetto vivo del film realistico è il «mondo», non la storia, non il racconto. Esso non ha tesi precostituite perché nascono da sé. Non ama il superfluo e lo spettacolare, che anzi rifiuta;

 ma va al sodo. Non si ferma alla superficie, ma cerca i più sottili fili dell’anima. Rifiuta i leoncini e le formule, cerca i motivi che sono dentro ognuno di noi. È, in breve, il film che pone e si pone dei problemi’’.

 

 

 

 

 

In quegli anni Hollywood aveva il mito del Tevere e di Roma. Senza volerlo, senza esserne consapevole Roberto Rossellini mi aveva fatto entrare non solo nella storia del cinema, ma in un evento che sarebbe divenuto eterno: il racconto di Roma sotto l’assedio nazifascista.

Roma Citta’ Aperta fu citata ogni volta  si parlasse di dopoguerra, di Liberazione, di Ricostruzione.

 

Le mie giornate trascorrevano assieme a Roberto Rossellini e ai suoi assistenti, gli attori. C’era il suo amico Sergio Amidei che assieme a Roberto Rossellini avevano scritto la sceneggiatura del film, Mario Chiari e Ubaldo Arata, l’assistente, Alberto Manni, il macchinista, il fonico, gli elettricisti che non lo lasciavano mai. Una volta che mia madre aveva firmato il contratto, la mia vita era cambiata. Stavo sempre con loro, che mi volevano bene e mi coccolavano.

Rimanevo attaccato pero’ ai miei compagni sciuscia’. Roberto Rossellini lo aveva capito, che eravamo legati e io ad un certo punto ero riuscito anche a farmi fare dei fagottini con ogni ben di Dio di cose da mangiare anche per loro. E siccome loro razzolavano sempre agli angoli di Largo del Tritone, e la sala di posa era li’ vicino, ci vedevamo praticamente tutti i giorni. Quando mia madre firmo’ il contratto io riuscii a fare inserire una clausola in cui qualcuno di loro doveva fare la comparsa. Se ci penso oggi, mi rendo conto che avevo solo undici anni, ma forse la fame, la guerra mi avevano  reso intraprendente, scaltro, certamente piu’ maturo rispetto alla mia eta’.  Ero riuscito a introdurne tre o quattro dei miei compagni sciuscia’ nella lavorazione del film. Agli altri cercavo di portare dei ‘cestini’ che mi facevo dare dal ristorante dove la produzione aveva il conto aperto.

 

 

 

Roberto Rossellini  era un uomo estremamente generoso, ed era contento di aiutarci a svoltare la giornata in un momento  cosi’ difficile come quello dell’occupazione tedesca. Io cosi’ uno per uno avevo avuto la possibilita’ di farli lavorare tutti come comparse. In questo modo stavamo sempre insieme. E guadagnavano qualche soldino anche loro. Ora capisco che e’ stata proprio la sua grandissima generosita’ a permettermi di inserire anche gli altri miei compagni nella lavorazione del film.

 

 

 

 

 

 

I primi ad essere pagati, quando arrivavano i soldi eravamo infatti noi, i montatori, gli elettricisti, i macchinisti e le comparse.

Uno l’ho rivisto qualche anno fa, andando nel quartiere del Pigneto, dove e’ stata girata la scena madre di Anna Magnani che usciva dal portone cercando di inseguire Francesco portato via sulla camionetta dai soldati tedeschi. A Via Montecuccoli.

E’ stato un caldo abbraccio fraterno quello che ci siamo dati. Ci siamo riconosciuti nell’ultima scena del film quando i tedeschi sparavano un colpo di fuoco a Don Pietro Pellegrini a Forte Bravetta, e noi ragazzini, ce ne andavamo piangendo con la testa china, dopo averlo salutato e avergli fatto sentire la nostra presenza, il nostro affetto. Fischiando come facevamo di solito per farci riconoscere. Aldo Fabrizi  con quella scena veniva consacrato per la prima volta attore drammatico.

 

 

(VITO ANNICCHIARICO,PH SIMONETTA RAMOGIDA)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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