da tvsvizzera.it
In una lunga intervista concessa alla Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno in occasione dell’uscita della versione in tedesco del suo ultimo libro Vita mia, la scrittrice italiana Dacia Maraini ripercorre la sua drammatica infanzia in un campo di internamento giapponese durante la Seconda guerra mondiale. Deportata nel 1943 con la famiglia a Nagoya per essersi rifiutati di giurare fedeltà al regime fascista, Maraini racconta: “Eravamo gravemente denutriti e sopravvivemmo per un soffio”.
Il momento più drammatico fu un gesto estremo del padre, antropologo e antifascista: “Mio padre si tagliò il mignolo con un’accetta e lo lanciò sulla divisa bianca del guardiano. Conosceva i rituali dei samurai e sapeva che così avrebbe messo i carcerieri dalla parte del torto”. Quel gesto, racconta, salvò la famiglia: poco dopo ricevettero una capra che fornì loro latte, fondamentale per la sopravvivenza. Il trauma di quell’esperienza è rimasto a lungo taciuto. Solo oggi, a 89 anni, Maraini ha deciso di evocarlo nella sua ultima opera. “Scriverlo mi faceva male. È come riaprire vecchie ferite. Ma in tempi in cui si combattono nuove guerre, ho sentito il dovere di testimoniare”.
L’intervista tocca anche temi politici attuali. Maraini non nasconde le sue riserve su Giorgia Meloni: “Sono orgogliosa che l’Italia abbia una presidente del Consiglio donna. Ma vorrei che sostenesse posizioni politiche diverse”. Pur riconoscendo che Meloni ha “cambiato tono” da quando è al Governo, Maraini critica l’ambiente che la circonda, che flirta ancora con simboli e idee fasciste. La scrittrice denuncia anche la mancanza di consapevolezza storica in Italia: “Nelle scuole il fascismo non si studia più. È una lacuna educativa gravissima”, e sottolinea come, a differenza della Germania, l’Italia non abbia mai fatto davvero i conti con il proprio passato.