Amava Roma città aperta di Roberto Rossellini, che definiva fondamentale nel processo di riconciliazione post-bellica: “Il cinema è un grande strumento di aggregazione”, dichiarava nel 2019 all’Associazione Esercenti Cinematografici Cattolici.“Devo la mia cultura cinematografica soprattutto ai miei genitori, che ci portavano spesso al cinema”, raccontava il pontefice in un’intervista del 2013, pochi mesi dopo la sua elezione.
Nato Jorge Mario Bergoglio nel 1936 da una famiglia di origini piemontesi, il giovane Francesco crebbe tra le atmosfere del neorealismo italiano, che lo avrebbe segnato per tutta la vita. Quest’ultima pellicola di Roberto Rossellini vede fra i suoi protagonisti proprio i due celebri attori italiani amati da Francesco (e dai suoi genitori): la Magnani e Fabrizi. Per altro quest’ultimo interpreta nel film un sacerdote che si oppone ai nazisti e fa parte della Resistenza. La figura è ispirata alle storie vere di due sacerdoti romani uccisi dai tedeschi e dai fascisti uno alle Fosse Ardeatine, don Pietro Pappagallo, e l’altro fucilato a Forte Bravetta, don Giuseppe Morosini la cui fine è praticamente ripetuta quasi alla lettera nella scena conclusiva del film. Entrambi morti nel ’44 furono torturati e presero parte alla resistenza romana contro i nazifascisti.
Tra tutti, La Strada di Federico Fellini è stato il film che più lo ha colpito: “Mi identifico con quel film, in cui c’è un riferimento implicito a San Francesco”, disse, trovando nei temi della sofferenza e dell’amore un’eco profonda del santo da cui prese il nome papale. Nel 2024, in occasione del 70° anniversario del film, volle registrare un videomessaggio per celebrarlo ancora, ricordando in particolare la scena del “pazzo e della pietra” come simbolo del senso nascosto nella sofferenza umana.
Il cinema per lui non era solo intrattenimento, ma anche strumento di riflessione spirituale ed etica. In Amoris Laetitia citò Il pranzo di Babette, sottolineando l’importanza del dono disinteressato. Da Rapsodia d’agosto di Kurosawa a Andrej Rublëv di Tarkovskij, usava spesso riferimenti cinematografici per parlare di memoria, creatività e spiritualità.
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