Non c’è azzurro più intenso o rosso più marcato, il giallo sempre presente, tutti i colori intensi e saturi. Di origini ebraiche Marc Chagall è uno dei maggiori maestri del novecento. Nasce in Russia. Il suo nome ebraico era Moishe Segal e quello russo Mark Zacharovič Šagal, trascritto poi in francese come Chagall, è stato un pittore russo naturalizzato francese, d’origine ebraica chassidica. Profondamente religioso e di indole positiva, fino alla fine ha creduto che il bene potesse prevalere sempre sul male. Ora, L’Albertina di Vienna lo celebra con una rassegna di oltre 100 opere. Una occasione per fare un viaggio culturale a Vienna. Il suo stile è inconfondibile. Un suo dipinto non può mai confondersi con l’arte degli altri pittori. Il sogno sembra essere la sua luce costante come una lunga scia che traccia ogni suo dipinto. Le sue costanti sono il mondo dell’infanzia e l’armonia come aspirazione per l’umanità.
Per la stagione espositiva invernale 2024, l’universo onirico e arcaico di Marc Chagall viene illustrato in 105 dipinti, che ripercorrono tutte le fasi della sua lunga e prolifica carriera artistica. Si tratta della grande mostra nata dalla collaborazione fra l’ALBERTINA Museum di Vienna e il Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf, che invita a riscoprire nella capitale austriaca la pittura di uno degli artisti più originali del Novecento europeo.
Lontano da qualsiasi etichetta stilistica, Marc Chagall (Lëzna, 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 1985) è stato un delicato e profondo cantore dell’umanità, in equilibrio fra la cultura ebraica russa, la letteratura e il clima delle avanguardie artistiche del primo Novecento. Pur ispirandosi al Cubismo, all’Espressionismo e all’Astrattismo, mantenne sempre una sua indipendenza espressiva, una sua riconoscibilità, che ancora oggi fanno di lui uno degli artisti più emozionanti del Novecento. “Sono un pittore inconsciamente cosciente” amava ripetere; e questo paradosso gli ha permesso di tradurre sulla tela la bellezza spirituale dell’umanità, nella quale non ha mai smesso di credere, pur dovendo suo malgrado attraversare la Rivoluzione Bolscevica, le persecuzioni contro gli ebrei, la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda. Eventi che comunque trovano qua e là una menzione, soprattutto nel drammatico Guerra (1964-66), una tela di grandi dimensioni che sullo stile di Guernica dell’amico Picasso rappresenta una scena comune alle guerre di tutte le poche: civili in fuga da un villaggio in fiamme, i volti segnati dal dolore.
Il percorso espositivo permette di comprendere e apprezzare l’evoluzione formale e prospettica di Chagall, che rendeva le sue figure più grandi o più piccole in base al loro significato e rappresentava gli animali come uguali agli umani. Nelle sue ultime opere, Chagall sacrificò completamente la forma e la prospettiva alla purezza del colore, creando paesaggi che rimangono, come per magia, lontani dall’aggressività della modernità, come se l’artista stesse cercando di trasferire su una dimensione più accettabile il caos e l’alienazione dei nascenti paesaggi industriali, con le sue sacche di umanità grigia e sofferente. Chagall vedeva l’umanità come un grande teatro. Una delle sue tele più imponenti, ma anche più importanti, si intitola appunto Commedia dell’arte (1959). L’amore è un altro dei temi ricorrenti dell’opera chagalliana, declinato come un gioco di distanze e vicinanze: gesti e sguardi sembrano seguire un rituale, salvo poi sciogliersi nell’imprevedibilità portata dal vento della steppa.
Proprio a Parigi, Chagall trovò l’occasione per la sua prima grande esposizione al di fuori della Russia, quando Herwarth Walden – editore della rivista Der Sturm e gallerista berlinese – si recò in Francia per selezionare artisti da invitare al primo Salon d’automne tedesco. Insieme ai futuristi, agli astrattisti del Der Blaue Reiter, ai cubisti, ai naif, c’era anche Chagall, con tre grandi dipinti: Alla Russia, agli asini e agli altri, Alla mia fidanzata, e A Cristo, il cui titolo fu poi cambiato in Calvario. Queste tre opere portarono all’artista un successo inaspettato, nonché, in alcuni casi, una feroce critica del contenuto dei dipinti da parte di ambienti conservatori. Ma ormai, la sua carriera era decollata.
Attraverso un tracciato cronologico caratterizzato da un allestimento sobrio e lineare, che permette di apprezzare ogni singola opera nella sua luminosità, la mostra permette di apprezzare la vena artistica e poetica di un pittore che fu tra i pochi novecenteschi in grado di non lasciarsi distrarre dalla violenza della guerra, dalla “morte di Dio”. Riuscì infatti a non perdere la fede, anzi: rimarcò come il patto fra l’uomo e Dio si fosse rafforzato nei secoli, come sussistesse fra la Terra e il Cielo un rapporto quotidiano, fatto di silenzio, umiltà, gioia, a volte anche timore.
Con uno stile arguto e non privo di affettuosa ironia, Chagall fissò sulla tela quei caratteri umani che compongono il “gran teatro del mondo”, dando vita a un universo di profeti, re, pastori, e semplici contadini – nei quali è riconoscibile lo strànnik della tradizione russa- tutti insieme pellegrini su questa Terra. Personaggi, questi, immersi in un paesaggio di fiori, case, animali, chiese, molto spesso dell’amata Russia, quando non erano le vedute urbane di Parigi.
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