ART/ A PADOVA A PALAZZO ZABARELLA MATISSE PICASSO MODIGLIANI E MIRO’ FINO A GENNAIO

UNA GRANDE MOSTRA SUI GIGANTI DEL ‘900

 

Matisse, Picasso, Modigliani, Miró | Capolavori del disegno dal Musée de Grenoble

Édouard Vuillard Donna con corpetto blu 1915

 

Dal 5 ottobre 2024 Palazzo Zabarella presenta la mostra “Matisse, Picasso, Modigliani, Miró – Capolavori del disegno dal Musée de Grenoble” dove viene esposta la raccolta di arte grafica del Museo di Grenoble, la seconda più grande di Francia con quella del Musée National d’Art Moderne – Centre Pompidou.

Da Matisse e Picasso a Chagall, Miró, e Modigliani, per continuare con Signac, Bonnard, Vuillard, Rouault, Delaunay, Arp, Balthus, Cocteau e tanti altri: 130 opere per 47 artisti dei principali movimenti artistici che hanno segnato la prima metà del XX secolo. Dalla matita al carboncino, dalla tempera all’acquerello, alla gouache o al collage, dalla figurazione all’astrazione, una collezione unica che raccoglie le sperimentazioni dei protagonisti delle avanguardie.

Palazzo Zabarella prosegue così nella sua esplorazione dei percorsi dell’arte tra Ottocento e Novecento, dall’Impressionismo alle avanguardie storiche, indagati ancora una volta da quel punto di osservazione privilegiato che è stata Parigi. Come affermano Federico Bano e Fernando Mazzocca (rispettivamente Presidente e Direttore culturale di Palazzo Zabarella) “[..] con questa mostra affascinante e coraggiosa, su cui puntiamo molto e che sorprenderà il nostro pubblico, abbiamo voluto proporre un approccio diverso, molto originale, per comprendere le sperimentazioni dei movimenti e dei protagonisti che hanno profondamente rinnovato la visione e la rappresentazione della realtà.“.

La mostra è organizzata in collaborazione col museo di Grenoble, con la cura di Guy Tosatto, già direttore del museo, uno dei maggiori di Francia, ricco di capolavori e particolarmente significativo per quanto riguarda la vastità e la qualità delle raccolte relative all’arte dal Novecento ai giorni nostri, rappresentata attraverso i suoi grandi protagonisti, come Monet, Signac, Bonnard, Modigliani, Matisse, Picasso, Braque, Soutine, Utrillo, Chagall, Rouault, Delaunay, Klee, Kandinsky, Arp, Miró, de Chirico, Picabia, Balthus. Grazie alla determinazione di un direttore visionario come Pierre-André Farcy, che ha guidato l’istituzione per trent’anni, dal 1919 al 1949, parallelamente all’incremento delle sezioni dedicate a pittura e scultura, si è formata una raccolta di disegni che è la più vasta ed importante della Francia dopo quella del Museo Nazionale d’arte moderna di Parigi, il Centre Pompidou.

I grandi protagonisti delle avanguardie post-impressioniste sviluppatesi prima e dopo la guerra sperimentano diversi supporti e soprattutto procedimenti. Matite, inchiostri, carboncini, pastelli, acquerelli, gouaches, biacche, gessi colorati vengono radicalmente trasformati per potenziare la loro forza espressiva o impiegati simultaneamente, combinando una tecnica con l’altra, per ottenere effetti prima impensabili. Ma poi si ricorre anche al collage, al decoupage e vengono utilizzati altri materiali, come metalli, foglie d’oro, stoffe che fanno entrare il disegno in nuove, inedite dimensioni. Per questo si ricorre anche ai grandi formati di cui troviamo in mostra esempi stupendi

Seguendo ancora le parole di Federico Bano e Fernando Mazzocca “Questa mostra ci rivela dunque un mondo straordinario, quello della invenzione grafica, in continua trasformazione dall’inizio del secolo con i paesaggi di un esponente del puntinismo Paul Signac, agli anni Cinquanta e Sessanta con i collage di Magnelli e di Chillida, i monotipi di Mark Tobey e gli oggetti astratti dello scultore Alexander Calder.”.

Mostra nella mostra è il corposo nucleo di opere del grande Matisse, l’artista più rappresentato anche per quanto riguarda la pittura nel museo di Grenoble , che rivelano un mondo, quello di un genio che sapeva continuamente rinnovarsi. In esposizione una straordinaria versione del tema prediletto de La danza del 1910, e le splendide litografie realizzate con la tecnica del decoupage destinate a diventare delle vere e proprie icone del Novecento, come la famosa serie Jazz del 1947. Qui le ritroviamo in una versione particolarmente smagliante dove, come disse l’autore, i “colori vivi e violenti” rappresentano la “cristallizzazione dei ricordi del circo, dei racconti popolari, di viaggio”.

L’altro grande protagonista della mostra è Picasso, rappresentato nelle sue diverse stagioni, dagli esordi all’inizio del secolo alle composizioni cubiste, ispirate dalla regola di Cézanne; dal magnifico Ritratto di Olga del 1921, uno dei fogli più grandi in mostra, dove attraverso gli effetti plastici ottenuti col pastello recupera la figurazione in una dimensione classica, per approdare infine alle variazioni sullo stesso motivo del volto scomposto negli anni quaranta. In questa sezione ritroviamo anche le nature morte cubiste di Juan Gris e la sorprendente Guglia di Notre-Dame di Robert Delaunay, e soprattutto una fitta sequenza di invenzioni cubo-futuriste di Fernand Léger, capace di rinnovare sempre il proprio linguaggio.

Da non dimenticare poi due capolavori come la Donna con corpetto blu e Madame Hessel et Lulu nella sala da pranzo, rue de Naples di Vuillard, che dimostrano quali potenti effetti pittorici e suggestioni poetiche si possano ottenere con un materiale nobile come la gouache.

 

 

Vuillard, Madame Hessel et Lulu

Édouard Vuillard – Madame Hessel e Lulu nella sala da pranzo, rue de Naples 1936

 

 

Alle inclinazioni costruttiviste e astratte di Jean Arp, Francis Picabia e Amédée Ozenfant, si contrappongono le invenzioni surrealiste di Jean Cocteau, qui rappresentato davvero al meglio in due rare composizioni del 1926 (Testa con puntineMani e piedi di gesso che attaccano uomini in riva al mare) dove l’impiego di vernici, colori e materiali diversi ci fa entrare in una sottile dimensione onirica. La ritroviamo poi in Miró e André Masson, rappresentati da due gouache di forte impatto visivo e rilievo cromatico. Mentre ritorniamo nell’ambito della figurazione con tre ritratti di Modigliani e la serie dei sontuosi nudi femminili, di grande impatto plastico, del grande scultore Aristide Maillol o nel sorprendente Il lottatore Tochigiyama, realizzato a olio su seta dal giapponese Léonard Tsuguharu Foujita, ammirato per il virtuosismo nel rendere una realtà segnata dal mistero, quello che ritroviamo, ora entro i territori invece dell’astrazione, nella drammatica Pietà composta in tessuto e foglie d’oro dalla tensione creativa dalla russa Marie Vassilieff, appartenente alla folta schiera degli stranieri che, a partire da Picasso, hanno saputo confrontarsi sulla incomparabile scena artistica parigina.

La collezione di arti grafiche del Musée de Grenoble

La collezione di arti grafiche del Musée de Grenoble è notevole. Contiene quasi 6.700 pezzi, un terzo della collezione, di cui quasi 1.700 per il periodo dal 1900 al 1965, il cuore di questa mostra. È la più grande collezione di arte del XX secolo in Francia dopo il Musée national d’art moderne – Centre Pompidou. Numerosi cataloghi e mostre hanno presentato queste collezioni, concentrandosi sulle scuole nordiche, germaniche e italiane. Nel 2008 Guy Tosatto ha esposto i disegni del XX secolo del museo. Sebbene alcune opere (in particolare i capolavori presenti nella collezione) fossero già esposte all’epoca, va sottolineata l’attiva politica di acquisizione perseguita sotto la sua direzione: 400 disegni dal 1900 al 1965, un aumento di un quarto in soli vent’anni. Non è tanto la quantità quanto la qualità delle opere acquisite a dover essere sottolineata, tra cui si ricorda un magnifico collage di Picasso, classificato come patrimonio nazionale. A queste opere si mescolano quelle di artisti meno noti ma altrettanto affascinanti, come Cassandre e Paul Iribe. È facile rendersi conto della varieta di questa tecnica, utilizzata anche per elaborare piani architettonici, pensare campagne pubblicitarie e progettare oggetti.
La ricchezza di questa collezione consente molteplici approcci. Riunisce i geni del XX secolo che hanno lavorato in Francia, ma che spesso provenivano da contesti molto diversi, dall’Italia (Modigliani) al Giappone (Foujita), permettendoci di raccontare una storia dell’arte francese, molto al maschile, che riflette la notorietà del passato. Questi tratti riflettono un XX secolo tumultuoso, segnato da due guerre mondiali, da cui emerge un’affermazione dell’individuo attraverso l’arte figurativa, in particolare quella del corpo umano.

Come la sua raccolta di arte moderna, la collezione di disegni del XX secolo del Musée de Grenoble risale alla nomina di Andry-Farcy a direttore dell’istituzione nel 1919. Pierre-Andre Farcy (1882-1950), noto anche come Andry-Farcy, è stato un pittore, critico e pubblicitario che ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle collezioni del museo, in particolare nell’apertura all’arte moderna. Arrivato a Grenoble nel 1905 dopo una doppia formazione artistica all’École Nationale des Arts Décoratifs e all’École Nationale des Beaux-Arts di Parigi, Andry-Farcy divenne membro del comitato consultivo del museo nel 1914, prima di essere nominato direttore nel 1919. Curatore visionario, si propose fin dall’inizio di rompere con il conservatorismo dei suoi predecessori. Per trent’anni, dal 1919 al 1949, usò capacità di persuasione, coraggio e conoscenza degli ambienti artistici per perseguire un’audace politica di acquisizioni incentrata sulle avanguardie, che ebbe un ruolo decisivo nel plasmare la nuova identità del museo. Sotto la sua guida, il museo si arricchisce notevolmente – soprattutto nel campo delle arti grafiche oltre ai dipinti neoimpressionisti e fauvisti e all’arrivo di grandi acquisti – e beneficia di numerose donazioni e lasciti. Nel 1923 il lascito Agutte-Sembat diede il via alle danze con un notevole gruppo di opere grafiche di prestigio, tra cui La saltimbanco di Rouault, La danza di Matisse e Donna con corpetto blu di Vuillard. Negli anni successivi, a queste opere si sono aggiunte quelle di Picasso, Léger, Robert e Sonia Delaunay, Modigliani e Miró, consentendo di ripercorrere la storia dell’arte della prima metà del XX secolo. Allo stesso modo, alcuni gruppi di disegni sono stati riuniti intorno a un particolare artista, offrendo uno sguardo più approfondito sul suo approccio grafico e sulle sue caratteristiche. Questo vale in particolare per Matisse, la cui opera è illustrata da ben ventotto disegni, tra cui due serie complete di Temi e variazioni.
Dopo il ritiro di Andry-Farcy nel 1949, i suoi successori continuarono nella stessa direzione e contribuirono ad arricchire ulteriormente le collezioni. Opere di Ernst, Schwitters, Arp, González, Picabia e Artaud furono aggiunte alla raccolta di arti grafiche. Infine, più recentemente, parallelamente al suo approccio decisamente contemporaneo, il museo si è arricchito di un prezioso collage cubista di Picasso e di due notevoli disegni di Balthus, grazie agli sforzi del suo club di mecenati. Oggi la collezione di arte grafica del Musée de Grenoble, che è la seconda più grande in Francia dopo quella del Musée national d’art moderne – Centre Pompidou, comprende opere rare di grandi maestri come MatissePicasso e Léger, offrendo un panorama, se non esaustivo, almeno rappresentativo degli sviluppi creativi in questo campo durante la prima parte del secolo scorso. Inoltre, grazie alla grande diversità delle modalità espressive e delle tecniche impiegate, come il disegno, la gouache, l’acquerello e il collage, la raccolta del museo francese offre un approccio al tempo stesso intimo e illuminante in termini di sviluppo di un nuovo linguaggio formale specifico del XX secolo. La selezione qui esposta, che comprende quarantasette artisti e oltre centotrenta opere, illustra i momenti salienti di questo periodo. La mostra è suddivisa in cinque sezioni, dal 1900 al 1960, e copre i principali movimenti artistici che hanno segnato la prima metà del XX secolo. Dagli esordi delle avanguardie all’astrazione prima e dopo la guerra, passando per il cubismo, le visioni oniriche e iconoclaste del surrealismo e del dadaismo e la duratura figurazione degli anni Venti e Trenta, l’esposizione racconta rivoluzioni formali e sconvolgimenti estetici attraverso opere che vanno dal piccolo formato al monumentale. Frutto il più delle volte di una notevole economia di mezzi (carta e matita), questi lavori testimoniano una libertà espressiva incomparabile e ineguagliabile e aprono nuove strade a un’arte che non ha mai smesso di rinnovarsi per tradurre il più fedelmente possibile il mondo e le sue metamorfosi.

Se l’impressionismo rimase il crogiolo in cui si formarono le avanguardie del XX secolo, a contribuire alla loro nascita fu, con l’eccezione di Monet, l’influenza decisiva di artisti esterni al movimento come Cézanne, Gauguin, Van Gogh e Seurat. Negli anni Novanta del XIX secolo si affermarono il movimento neoimpressionista grazie all’invenzione della tecnica puntinista da parte di Seurat – che morì prematuramente nel 1891 e i cui due eredi più fedeli furono Signac e Cross – e, sotto l’influenza di Gauguin, il gruppo Nabis, che comprendeva Bonnard, Vuillard e Roussel. Tutti condividevano il fascino del colore, che diventò l’elemento predominante e costruttivo della loro opera. I loro approcci, tuttavia, erano diversi. I neoimpressionisti volevano essere metodici, persino scientifici. Influenzati dalla regola dei contrasti simultanei di Chevreul, frammentarono e razionalizzarono la pennellata e la sensazione del colore, sviluppando un sistema pittorico basato sulla giustapposizione metodica di una moltitudine di punti di colori diversi. La loro miscela ottica tendeva a riprodurre la percezione del visibile in modo più oggettivo. I Nabis, influenzati anche dalle stampe giapponesi, utilizzavano tinte piatte non modulate. Si erano liberati dal “tono locale”, affermando l’indipendenza del colore dalla natura ed esaltandone le proprietà espressive. Così facendo, crearono uno spazio senza profondità, animato dalla semplice stratificazione di piani colorati. Aspiravano inoltre a estendere l’applicazione del loro stile alla vita quotidiana, in particolare attraverso le arti applicate. Crearono oggetti e mobili di ogni tipo con un decoro giapponese. E proprio in questo contesto, pur non facendo parte del gruppo Nabis, che un artista come Paul Iribe riuscì a imporsi nelle arti decorative.
Il fauvismo si sviluppò all’incrocio di questi due movimenti. Ne facevano parte Derain, Marquet, Vlaminck, Rouault in misura minore e naturalmente Matisse. I loro dipinti, esposti al Salon d’Automne del 1905, fecero scandalo e segnarono la nascita del movimento. L’uso del colore puro, direttamente dal tubetto, esprimeva la visione soggettiva del pittore, al di là di qualsiasi preoccupazione per il realismo. Per questi artisti, il colore diventò il mezzo attraverso il quale rappresentare l’infinito del mondo, o addirittura lo spazio cosmico. Tuttavia, al di là del suo fascino per il colore non smise di esplorare le possibilità della linea. ≪Il mio disegno a linee è la traduzione diretta e più pura della mia emozione≫, diceva, e le innumerevoli variazioni che produsse nelle arti grafiche nel corso della sua carriera ne sono la testimonianza più eloquente.
Tuttavia, con l’invenzione dei papiers découpes, fogli di carta spalmati di colore e tagliati direttamente con le forbici, riuscì a unire questi due elementi, linea e colore, e a fonderli in un’unica entità. Quest’ultimo stile, a cui dedicò gli ultimi anni della sua vita, segno il culmine della sua ricerca artistica.

 

 

L’ESPLOSIONE DELLE FORME: PICASSO E IL CUBISMO
Il cubismo, le cui origini si possono far risalire al famoso dipinto di Picasso Les Demoiselles d’Avignon del 1907, mirava a catturare la complessità del visibile e la sua natura transitoria, non più in modo illusionistico grazie al sistema prospettico monoculare sviluppato nel Rinascimento, ma rompendo con il punto di vista unico che aveva prevalso fino ad allora. Per dipingere il suo soggetto, Picasso– rapidamente raggiunto da Braque – giustapponeva diversi punti di vista sullo stesso piano. Il soggetto era rappresentato contemporaneamente di fronte, di lato, di spalle e persino dall’alto. La sfida, ovviamente, era quella di superare la contraddizione insita nell’inscrivere un elemento tridimensionale su una superficie piatta. Per raggiungere questo obiettivo i due pittori operavano molte annotazioni visive, che trascrivevano utilizzando segmenti di linea e piani di taglio, portando gradualmente a una frammentazione delle forme in una miriade di sfaccettature ripiegate sulla superficie del dipinto. Con le sue ultime opere, Cézanne aveva aperto la strada esprimendo, attraverso le sue pennellate frammentate, la molteplicità delle sensazioni provate di fronte a un motivo e, attraverso la  tela lasciata a tratti non dipinta, la piattezza del supporto. La sua influenza su Braque e Picasso fu amplificata dalla scoperta delle arti primitive dell’Africa e dell’Oceania, che rafforzarono il loro nuovo approccio alla realtà. Per ottenere una maggiore efficacia visiva, essi semplificarono e reinterpretarono le forme, arrivando gradualmente a considerare la pittura non solo come un mezzo di rappresentazione, ma anche come un modo di presentare e analizzare i suoi elementi costitutivi (linea, piano, colore ecc.). Offrendo una molteplicità di punti di vista, frammentando piani e motivi ed evocando una durata continua piuttosto che fissa, il cubismo anticipava gli sconvolgimenti di una società in piena trasformazione, sia nella scienza e nella tecnologia che nelle idee. Stava nascendo un nuovo mondo che solo un nuovo linguaggio poteva esprimere. Affascinati da questo nuovo vocabolario plastico, molti artisti lo adottarono. Alcuni, come Fernand Léger e Robert e Sonia Delaunay, esplorarono aspetti trascurati dai due fondatori, come la questione del colore. Naque così un cubismo “colorato” che il poeta Guillaume Apollinaire chiamò “orfismo”. Altri, come Juan Gris e Louis Marcoussis, concepirono un cubismo “classico” adottando le innovazioni formali di Braque e Picasso e sintetizzandole sotto forma di segni plastici caratteristici. Crearono così uno “stile cubista”, intriso di misura ed equilibrio, che intendevano iscrivere nella grande tradizione della pittura francese. María Blanchard, che negli anni Dieci era stata vicina a Juan Gris, all’inizio del decennio successivo si orientò verso uno stile figurativo più classico, ma con una ricca eredità culturale spagnola. Lo scultore Ossip Zadkine, dal canto suo, traspose in tre dimensioni forme concepite per la superficie piatta di un quadro. In questo modo, esaltava la dimensione volumetrica dei suoi modelli nel registro grafico.
Anche se l’invenzione del cubismo fu la “grande cosa” della vita il suo inestinguibile gusto per la sperimentazione, la sua insaziabile curiosità e, non ultimo, il suo virtuosismo lo portarono a inventare sempre nuove forme. Passando allegramente dal disegno classico, che si ispirava a Raffaello e a Ingres, all’arte figurativa, dove si combinavano forme eccentriche e addirittura inquietanti, si rinnovava costantemente in un vortice vertiginoso di visioni nuove e destabilizzanti, che lo resero uno dei grandi geni del XX secolo.

INTORNO A DADA E SURREALISMO: UN MONDO REINVENTATO
È al Cafe Voltaire di Zurigo che nel 1916 nacque il movimento Dada, attorno al poeta Tristan Tzara e agli scrittori Hugo Ball e Richard Huelsenbeck. Anche Jean Arp e Sophie Taeuber-Arp, che fin dall’inizio prediligevano forme astratte piuttosto libere nelle loro opere, facevano parte di questo circolo, le cui idee si diffusero rapidamente a Parigi, Berlino e New York. Portando un messaggio rivoluzionario e nichilista, Dada, in reazione alla tragedia della guerra e al crollo degli Stati, cercò di attaccare i valori consolidati e di mettere in discussione tutte le convenzioni e i vincoli ideologici, estetici e politici. Promuoveva una nuova visione dell’atto creativo basata sulla fiducia nella fecondità del caso e dell’irrazionale, ma anche, più radicalmente, sulla volontà di ribaltare la nozione stessa di arte. Fu questa la posizione adottata a Parigi da Marcel Duchamp con l’invenzione del ready-made. Nello stesso periodo, Francis Picabia e Marius de Zayas realizzarono ritratti “meccanomorfi” che provocavano e deridevano la società delle macchine trionfante.
Un altro movimento chiave del periodo, il surrealismo, che come il dadaismo celebrava le virtù dell’irrazionale, emerse a Parigi nei primi anni Venti. Il termine, coniato da Guillaume Apollinaire, fu adottato da Andre Breton nel 1924 per il suo manifesto. Affascinati dalle teorie di Freud sull’inconscio e dalla scoperta delle culture extraeuropee, gli artisti del movimento svilupparono una grande varietà di approcci, spesso stilisticamente molto diversi tra loro. Alcuni, come André Masson, prediligevano una forma di puro automatismo psichico. Altri, come Jean Cocteau, Cassandre e Amédée Ozenfant, trascrivevano le loro visioni interiori in una dimensione figurativa tutta personale. Il mondo dei sogni e delle fantasie doveva avere la precedenza. Come Giorgio de Chirico, Marc Chagall fu un precursore. Il suo universo, svincolato dalla gravità, dove uomini e animali si fondono, si emancipava dalla realtà per creare un mondo a sé stante.
Joan Miro’senza dubbio uno dei pittori più importanti del movimento, affermò la sua totale libertà creativa, inventando un repertorio di segni che gli permise di liberarsi completamente ≪da ogni convenzione pittorica≫.

SOPRAVVIVENZA DELLA FIGURA: PARIGI CAPITALE DELLE ARTI
Alla fine della Prima guerra mondiale, Parigi si affermò come vera e propria capitale internazionale dell’arte moderna. I grandi protagonisti che avevano rivoluzionato il linguaggio artistico all’inizio del secolo, come continuarono a lasciare la loro impronta nella vita culturale, arricchita dall’afflusso di artisti provenienti da tutta Europa e anche da paesi più lontani, attratti dall’influenza della ville lumière e dalle opportunità di incontro, scambio e vendita che essa offriva. Se Parigi può essere stata la culla del modernismo, molti artisti in questo periodo non vollero staccarsi dal linguaggio classico della figurazione e cercarono una via di mezzo, tra modernismo e accademismo, che rinnovasse il loro approccio al visibile senza abbandonare l’eredità del passato. Questa tendenza fu legittimata all’inizio degli anni Venti da un’ondata europea nota come “ritorno all’ordine”, che propugnava un’espressione più classica, fedele ai canoni tradizionali della figurazione. Sebbene fossero ravvisabili tendenze reazionarie, alimentate nientemeno che da ideologie nazionaliste, la necessità, dopo il profondo trauma causato dai disastri della guerra, di ripristinare un’immagine del mondo che fosse intelligibile e rassicurante fu anche una delle cause evidenti di questo “ritorno”. Picasso fu il primo, durante il suo viaggio in Italia nel 1917, ad adottare uno stile, che è stato definito “neoclassico”, per celebrare la sua unione con Olga Khokhlova. Lo stesso valse per gli artisti sedotti dalle innovazioni del cubismo, come André Derain e Raoul Dufy, che dalla metà degli anni Dieci optarono per uno stile figurativo più pacato. Un artista più anziano, come lo scultore Aristide Maillol, rimase indifferente alle avanguardie, preferendo seguire la strada aperta da Rodin verso una forma di classicismo moderno.
Ma fu con il contributo di artisti stranieri che l’arte figurativa conobbe la sua massima rinascita. A partire da Amedeo Modigliani che si trasferì a Parigi nel 1906. La scoperta dell’arte africana e l’incontro con Brancusi furono decisivi per aiutarlo a creare uno stile unico, audace e raffinato, all’incrocio tra l’eredità italiana dell’arte rinascimentale e la fascinazione per le forme arcaiche. Anche Jules Pascin, che si era formato in Europa centrale, arrivò a Parigi prima della guerra. Ammiratore di Toulouse-Lautrec, introdusse una dimensione espressionista nel suo approccio alla figura umana. Marie Vassilieff, di origine russa, sviluppò uno stile originale, rinnovando il linguaggio figurativo grazie al suo particolare patrimonio culturale, in cui l’arte delle icone si intersecava con quella delle xilografie popolari. Infine, Léonard Foujita, arrivato da Tokyo nel 1913, creò un’arte sottile che fondeva sapientemente la cultura orientale e quella occidentale.
Più tardi nel secolo, Antonin Artaud e Pierre Klossowski, con registri molto diversi, avrebbero creato potenti legami tra poesia, letteratura e arti visive, lasciando ampio spazio, nelle loro opere decisamente figurative, all’espressione delle forze dell’inconscio, mentre Balthus, in modo più etereo e con infinita delicatezza, avrebbe celebrato l’enigma degli esseri e delle cose.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, mentre Parigi rimaneva un centro artistico estremamente vivace, le tendenze più innovative tendevano a svilupparsi altrove. A New York, l’ascesa dell’espressionismo astratto pose gli Stati Uniti all’avanguardia del modernismo. Nel Vecchio Continente fu nel Nord Europa, con il movimento CoBrA, e nel Sud, in particolare in Italia con Alberto Burri e Lucio Fontana, e in Spagna con Antoni Tàpies e Eduardo Chillida, che emersero le proposte estetiche più originali. In Francia, l’astrazione prese piede e regnò sovrana fino ai primi anni Sessanta. Si basava principalmente sull’eredità dei grandi anziani – Kandinskij, Kupka, Mondrian e i costruttivisti russi – inventori di questo nuovo linguaggio che era stato così difficile da comprendere e che ora ispirava le giovani generazioni. Si delinearono due correnti estetiche nettamente contrapposte. La prima, debitrice della sintassi del neoplasticismo di Mondrian e delle avanguardie russe, era incentrata sul Salon des Réalités Nouvelles; si schierava a favore dell’arte concreta, nata da un’astrazione analitica eminentemente geometrica. La seconda difendeva l’astrazione lirica, fedele ai precetti di Kandinskij e al suo ≪sentimento interiore della forma≫. Soprattutto, privilegiava un’arte spontanea che lasciava esprimere la potenza del gesto, la risonanza della linea e persino l’impatto della materia.
Jean Gorin e Auguste Herbin, che a partire dagli anni Venti optarono per un’espressione puramente geometrica, possono essere facilmente collegati alla prima di queste due tendenze. Per tutta la vita, Jean Gorin rimase fedele alle teorie del neoplasticismo, cercando di applicarle alla vita quotidiana, in particolare attraverso l’architettura. Auguste Herbin, invece, giocò con tutte le possibilità offerte dalle diverse figure geometriche e dall’intera gamma cromatica, creando un proprio sistema plastico.
Con un approccio più libero, lo scultore Étienne Béöthy privilegiava la fluidità delle forme e creava metafore astratte del corpo umano mescolando linee e colori. Per quanto riguarda Sophie Taeuber-Arp, la delicatezza e la purezza delle forme danno vita alle sue figure, staccandole dalla pura geometria e collocandole nel regno più ambiguo del biomorfismo. È il caso anche di Alexander Calder, il cui linguaggio poetico, nato da una originale riflessione sulle energie che animano e attraversano il cosmo e gli esseri viventi, sfugge alle classificazioni. Infine, come artista indipendente, Alberto Magnelli si confrontò e trasse ispirazione dalle diverse avanguardie del primo Novecento, senza mai aderire a un movimento particolare. Da questa libertà dette vita a un corpus di opere inclassificabile, forte sia delle sue molteplici reminiscenze sia della sua totale singolarità.
San Sebastián è la citta natale dello scultore Eduardo Chillida, che ha iniziato la sua attività nei primi anni Cinquanta. I suoi potenti disegni, in cui il bianco e il nero prendono il posto dell’aria e del metallo, sono radicati nel dispiegamento delle sue forme nello spazio, combinando pienezza e vuoto.
Pur provenendo da contesti molto diversi, Mark Tobey, Bram van Velde e Henri Michaux possono essere associati alla seconda tendenza, quella di un’astrazione libera e spontanea, che a volte è stata definita “lirica”. Tuttavia, essi condividevano un elemento comune: la dimensione calligrafica delle loro opere. Per Mark Tobey, questa era legata allo studio delle arti e delle filosofie orientali; per Bram van Velde, alla ricerca di un equilibrio tra impegno impulsivo e padronanza del gesto; e per Henri Michaux, poeta e scrittore prima ancora che disegnatore, al suo rapporto intimo con l’atto della scrittura, con i contorni misteriosi delle lettere e con il ritmo sfuggente della frase.

Il percorso si conclude all’alba degli anni Sessanta che, come l’inizio del secolo, segnano una profonda cesura nella storia delle forme: nuovi movimenti emergono sia in Europa che in America, portando a diversi approcci alla pratica artistica, spesso lontani da quelli dei decenni precedenti. Ciononostante, il disegno continua a essere prediletto dagli artisti che trovano in questa modalità espressiva – e questa è la sua qualità principale – un rapporto immediato con l’atto creativo, sia attraverso la sua spontaneità, che permette di annotare sul posto la minima idea o impressione, sia attraverso il suo potere di razionalizzazione, che, come la scrittura o anche la geometria, offre un linguaggio concreto per tradurre nuovi concetti. In definitiva, per gli artisti che cercano un rapporto sensibile e diretto con la creazione, il disegno sembra essere un mezzo privilegiato, nonostante l’estrema diversità di possibilità offerte nel mondo moderno dalle nuove tecnologie. Oggi più che mai, come diceva Ingres, rimane ≪la probita dell’arte≫.

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