DA TVSVIZZERA.IT (un bell’articolo da leggere…)
Tra l’estate e l’autunno di ottant’anni fa, diverse aree d’Italia vivevano l’esperienza delle Repubbliche partigiane: di una, quella valdostana di Cogne, fu protagonista anche un gruppo di partigiani comunisti chiamati “Gli Svizzeri”. La loro vicenda è ricordata da una copia della celebre scultura dell’architetto svizzero Le Corbusier.
Nell’autunno del 1944, in Piemonte, la val d’Ossola viveva quaranta giorni di libertà: quelli della Repubblica partigiana. Un’esperienza di autogoverno significativa per vari motivi: innanzitutto perché si insediò una giunta provvisoria di governo, che nelle poche settimane di libertà deliberò in diverse materie, compreso un progetto di riforma scolastica.
Poi perché, come ricordato da Paolo BolognaCollegamento esterno nel volume ‘Terra d’Ossola, per la prima volta nella storia recente in Italia una donna, Gisella Floreanini, ebbe su piano paritario responsabilità di governo, ricoprendo il ruolo di commissario all’assistenza nella giunta di governo; e naturalmente anche perché la sua storia, probabilmente più di qualsiasi altra Repubblica partigiana, si intreccia con soggetti terzi: gli Alleati e la neutrale Svizzera, che come ricorda lo storico Andrea Pozzetta della Casa della Resistenza di Verbania “fu una risorsa fondamentale sia per l’aiuto dato da singoli cittadini, organizzazioni, partiti, associazioni di volontariato in sostegno alla Resistenza italiana, sia come luogo di rifugio e di asilo per fuggiaschi, rifugiati e partigiani”.
Pur essendo la più nota tra le Repubbliche partigiane, quella dell’Ossola non fu l’unica: tra l’estate e l’autunno del 1944, le zone libere partigiane durante l’occupazione tedesca furono 18. Una di queste fu a Cogne, in Valle d’Aosta: durò dal 7 luglio al 2 novembre 1944 e la sua storia è legata a un gruppo di partigiani definiti “Gli Svizzeri”, oggi ricordati anche con una copia della scultura di Le Corbusier chiamata “La main ouverte”.
Chi erano gli “Svizzeri” e come nacque la Repubblica di Cogne
La storia della Repubblica valdostana è diversa da quella dell’Ossola: “Cogne non venne liberata per un’azione militare, ma perché in quel momento l’area si trovò senza presidio nazifascista” spiega lo storico Alessandro Celi. “Gran merito lo ebbe l’ingegnere Franz Elter, il responsabile delle miniere di ferro che rifornivano l’industria siderurgica di Aosta, che strinse un accordo con i tedeschi: in cambio della fornitura del minerale, gli occupanti avrebbero lasciato la valle di Cogne libera e avrebbero assicurato i rifornimenti”. L’accordo era vantaggioso per tutti: per i tedeschi significava non tenere bloccate truppe in una fase cruciale del conflitto, che vedeva i nazisti impegnati sul fronte francese; per i valdostani il beneficio era che, continuando a lavorare nell’industria siderurgica, gli operai non avrebbero corso il rischio di venire deportati in Germania, ipotesi spesso ventilata in caso di scioperi o proteste in fabbrica.
“Ma la liberazione della valle di Cogne comportò una ridefinizione dei rapporti di forza tra le correnti della Resistenza – prosegue Celi – e la necessità, per chi fino a quel momento era stato meno presente, di acquisire più peso”. Un’esigenza sentita in particolare dalle brigate garibaldine, espressione del Partito Comunista, visto che in quella fase in Val d’Aosta le formazioni più attive erano altre. Così, per «fare propaganda, per far vedere che anche i comunisti erano presenti», una trentina di rifugiati in Svizzera vennero richiamati dal partito per andare a Cogne. Sono loro “Gli Svizzeri”: giovani disertori della Repubblica di Salò, intellettuali come l’editore Giulio Einaudi, in molti casi futuri protagonisti della scena – culturale e politica – del secondo novecento italiano.
“È una storia al tempo stesso locale e internazionale – aggiunge Celi – perché s’intreccia con le vicende italiane del dopoguerra e anche con la Svizzera, in quel momento centro europeo del grande gioco dello spionaggio in tempo di guerra. Di certo, la concorrenza tra le varie anime della Resistenza fu particolarmente importante: lo dimostra la drammatica vicenda di Aurora Vuillerminaz, una guida che aiutava gli Svizzeri a raggiungere Cogne. Durante un passaggio, mentre si trovava insieme ai militanti comunisti, fu intercettata dai fascisti: tutti furono fucilati e uno solo del gruppo si salvò. Ancora oggi si dubita che l’agguato fascista sia stato possibile grazie a una soffiata di qualcuno, interno alla Resistenza, avverso alla parte comunista. Qualcuno, cioè, che non vedeva di buon occhio l’arrivo degli Svizzeri”.
L’opera di Le Corbusier
Agli “Svizzeri” è dedicato un monumento che si trova ad Alpette, comune piemontese in provincia di Torino, non distante dalla Valle d’Aosta. Si tratta di una copia in bronzo di “La main ouverte”, disegnata nel 1964 dall’architetto franco-svizzero Le Corbusier: l’opera, segno e simbolo di pace e di solidarietà, è stata donata nel 2017 da Franco Berlanda, partigiano che faceva parte di quel gruppo di “Svizzeri” e che, nel dopoguerra, fu architetto e amico dello stesso Le Corbusier.
Ad Alpette, dove la lotta partigiana era iniziata già nell’ottobre del 1943, dopo la fine della Repubblica di Cogne giunsero alcuni degli “Svizzeri”: tra loro c’era Ugo Pecchioli che, alla sua morte avvenuta nel 1996, è stato sepolto proprio nel cimitero della località canavesana