PHOTO/ ROBERT CAPA A ROVIGO UNA MOSTRA METTE A FUOCO NUOVI PUNTI DI VISTA SULLA SUA FOTOGRAFIA DI GUERRA

 

Non c’è fotogiornalismo senza Robert Capa. Non c’è fotografia di guerra senza questo “monumento” e testimone di un secolo proprio quando la cronaca e si storia, uno di quei maestri di cui si conosce molto ma che vale la pena indagare in ogni suo aspetto anche quelli meno noti, poiché gli scatti meno conosciuti spesso sono una sorpresa. Robert Capa (Budapest, 1913 ‒ Thai Binh, 1954) ha reso il fotogiornalismo una materia da studiare. Endre Friedman è stato uno dei fotografi più conosciuti del secolo scorso, anche se questo nome non risuona molto familiare ai più, è meglio conosciuto con il pseudonimo di Robert Capa.
Nato a Budapest il 22 ottobre del 1913, esiliato in seguito, quando era ventenne, per il suo attivismo politico (di sinistra), visse come clandestino in Francia durante il periodo bellicoso.

 

 

Pioniere della fotografia di guerra, Robert Capa divenne famoso grazie alle sue foto che documentarono i vari conflitti: la guerra spagnola nella metà degli anni 30, la seconda guerra sino-giapponese del 1938, la guerra israeliana in seguito, e la guerra d’Indocina.
Ma fu la foto “Il miliziano colpito a morte” eseguita durante la guerra spagnola che lo rese celebre.
Da quel momento in poi per Robert Capa fu un’escalation di successi.
Alcune delle sue immagini, come quella del miliziano, sono state oggetto di controversie, ci si è chiesto se fossero vere o costruite. Poco importa risolvere tali quesiti, è interessante invece la storia della “valigia messicana”, contenente un gruppo di fotografie realizzate in Spagna con l’amico David Seymour e la compagna Gerda Taro. Una valigia scomparsa nel 1939 e riapparsa all’inizio del XXI secolo.

L’essere umano osservato, studiato nei suoi diversi atteggiamenti è il protagonista delle immagini di Capa. Commuovente, se si pensa alla fine che avrebbe fatto di lì a poco, il ritratto dell’amata Gerda, distrutta dalla fatica, accovacciata su un prato brullo, con la testa appoggiata su una scatola. La mostra di Capa a Rovigo racconta un personaggio che ha fatto della storia la sua vita, una vita breve, intensa, carica di dolori e di successi, come la fondazione, nel 1947, con Henri Cartier-Bresson e David Seymour, della celebre agenzia Magnum Photos che avrebbe mutato per sempre il ruolo del fotografo nel mondo dell’informazione.

 

La grande mostra antologica, suddivisa in nove sezioni e curata da Gabriel Bauret a Rovigo, a Palazzo Roverella, costituisce un’occasione, non così frequente, di avvicinarsi al suo lavoro. È la ricostruzione di un cammino che parte dal 1932, con un Capa diciannovenne, che si chiama ancora André Friedmann, e raggiunge l’anno della sua morte in Indocina, nel 1954, causata dalla ferita di una mina antiuomo.

 

 

Capa è stato un fuggitivo dall’est dell’Europa, dove cominciavano a sentirsi gli echi del nazismo, intenzionato a giungere in Francia. Come sottolinea Bauret nel suo bel saggio introduttivo, per comprendere Capa nella sua interezza bisogna innanzitutto prendere in esame il punto iniziale del suo percorso, a Budapest, e il mondo ebraico al quale appartiene, al quale sarebbe tornato con le foto del neonato Israele della fine degli Anni Quaranta. E quindi le immagini dei villaggi ungheresi e della Germania in cui sventolano sulle case le prime bandiere con la croce uncinata. Ma anche le immagini di un sogno politico, quello della Francia del Fronte popolare degli Anni Trenta, del governo di Léon Blum con gli operai in sciopero che per alcuni versi richiamano certa fotografia della coeva Farm Security Administration.

 

Robert CAPA in a Paris cafŽ. 1952. Photo Courtesy @ Ruth ORKIN.

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