LIFESTYLE/ LIBRI SOTTO L’OMBRELLONE…

LIBRI SOTTO L’OMBRELLONE??? MARAMEO… come farebbe il gatto…

 

C’è chi si nasconde sotto gli occhiali da sole, finge di leggere un libro sotto l’ombrellone, ma intanto sbircia il vicino, guarda verso le onde e quel libro è tra le mani solo per darsi un pò di tono … O anzi no:

“C’è chi si mette degli occhiali da sole
Per avere più carisma e sintomatico mistero”… Franco Battiato

 

Io sotto l’ombrellone non riesco più a leggere… Preferisco nuotare, passeggiare tra le onde del mare, mentre non sopporto le moto d’acqua ma mi piacerebbe fare sci acquatico. Però l’estate cerco di leggere tutti quei libri che ho comprato e che ho lasciato magari lì sullo scaffale della libreria, oppure sulla scrivania aspettando il momento propizio per aprire quelle pagine, che nella mia testa quel momento doveva essere già ieri oppure oggi stesso, al massimo domani, o dopodomani, e poi  e poi …

Sotto l’ombrellone ci sto davvero poco, preferisco il mare, ma i pomeriggi estivi così rilassanti e pieni di dolce  far niente, meritano un buon libro. Che sia sull’amaca, sulla sdraio o spalmati sul divano in ferro battuto con i cuscini stile provenzale

azzurro e bianco nel vostro personale outdoor, o nei giardini dell’Hotel a 5 stelle dove avete deciso di passare le vacanze, nella masseria pugliese o nella casetta dei nonni al sud, sotto un albero secolare della Sila o nella pausa tra un’arrampicata e l’altra in montagna, ecco i libri che vi regaleranno qualche attimo di emozione…

 

 

“Immagini che vivono. Politica e Fotografia” edito da Ombre Corte, il libro di Viviana Vacca su Tano d’Amico, in cui si parla delle sue fotografie, rigorosamente in bianco e nero e didascalie scritte a mano, per un artista e fotogiornalista che spiega: “Noi siamo quello che fotografiamo”, non uno slogan ma un pensiero profondo e pieno di significati, perchè è vero, il fotografo mette nella realizzazione del suo scatto tutto il suo sapere, il suo sentire, il suo essere in un rapporto empatico con l’oggetto fotografato che può durare anche solo un’istante, una frazione di secondo, il tempo necessario per un click, ma quello sguardo ha colto l’essenza dell’oggetto fotografato in una relazione simbiotica durata il tempo necessario per disvelare ciò che non è più ripetibile.

Tano D’Amico, che ho il piacere di conoscere, è un uomo da macchina fotografica rigorosamente manuale e in bianco e nero. In quarant’anni è rimasto fedele a questa modalità di cronaca d’altri tempi, dove l’assenza di colori porta a tutte le sfumature della realtà e ad esaltare la foto stessa dandole più toni che in qualsiasi altra immagine a colori. La sua poetica personale è riconoscibile nella lunga professione. Personalmente l’ho conosciuto all’Università La Sapienza, dove, ricordo ancora i suoi incontri con il pubblico, cui non si è sottratto mai per poi rincontrarlo a distanza di tantissimi anni tra gli amici fotografi nel panorama romano  di chi ancora non si arrende all’uso del digitale e rimane ancorato alla stampa in bianco e nero e all’uso del rullino. Che cosa pretendono, da noi, le immagini? Il capovolgimento rappresentato da questa domanda ci pone di fronte ad alcune questioni nevralgiche riguardanti i rapporti tra il mondo contemporaneo e le immagini artistiche: la presa di posizione politica delle immagini, la specificità dell’immagine fotografica, le immagini come operatrici di dignità, il fotografo che, alla pari di antichi indovini, è in grado di scoprire e rivelare colpe e colpevoli. In dialogo con numerosi riferimenti teorici importanti – da Benjamin a Barthes, da Deleuze a Georges Didi Huberman – la portata innovativa della straordinaria esperienza artistica di Tano D’Amico acquista il risalto che merita in direzione di una presa di posizione teorica di maggior respiro rispetto alla storia delle immagini del contemporaneo. Le singolarità emergenti grazie allo sguardo del fotografo – i volti, i gesti delle donne, dei bambini, dei lavoratori e dei poveri in quanto corpi nelle lotte sociali – permettono alle immagini di vivere, e non soltanto di sopravvivere. Le belle immagini, quelle che vivono, sono, per Tano D’Amico, immagini astratte e liberate dalla funzione ancillare nei confronti delle parole, affermando gioiosamente la propria autonomia: immagini fatte della stessa materia di cui sono fatte le rivolte che non hanno bisogno di nessuna didascalia.

(Tano D’Amico, Vetralla 2021 foto di Simonetta Ramogida)

“Very Important Peperoncino” di Massimo Lopez, Francesco Maria Spanò ed Erminia Gerini Tricarico, edito da Gangemi.

Attenzione: questo non è un libro ma il libro sul peperoncino che, pur ispirandosi anche ad altre pregevoli pubblicazioni sull’argomento, ha voluto fare un passo avanti e ritiene di esserci riuscito. È l’allegro vociare, in una immaginaria Agorà, di autori che lo raccontano e si raccontano con la speranza di incontrarsi fuori di queste pagine e di conoscersi tra loro. La Covid -19, un inaspettato elemento di novità, ha fatto da aiuto regista nella compilazione del libro. A causa sua il ricordo diventa nostalgia e il passato recente ha il sapore di una ricerca del tempo perduto e fame di futuro senza confini: la libertà ha la sua piccantezza. Ma un piccolo seme di peperoncino fiorisce anche nel cuore più spaventato e come un pifferaio magico ha chiamato a scrivere, a sognare, a guardare oltre le pareti di cristallo. Ha regalato emozioni e fantasia, perché Lui è mito e rito, sentimento, eros, nostalgia, storia e filosofia, prosa e poesia, che gli autori hanno riversato in queste pagine, con un valore aggiunto: anzi due. E lo hanno generosamente offerto June di Schino, storica dell’alimentazione, con uno studio accurato, privo però della gravitas a favore di una narrazione-reportage di piacevolissima lettura; e Lucia Antico, che si è improvvisata detective in quel dei Paesi Bassi, e offre su un piatto d’argento i risultati della sua ricerca. Tra queste pagine di ‘tranquilla’ lettura irrompe Franco Ferrarotti con un blitz al calor bianco, scritto con caustica saggezza. Ma il peperoncino è soprattutto una promessa – più volte mantenuta – di benessere e salute. Ed è per questo che navigando tra le lusinghe dei vari capitoli, non ha mai perso di vista la rotta prefissata per trovare una risposta alla domanda: chi è veramente il peperoncino per l’Umanità? La dà Massimo Lopez, che dedica a questa opera ‘minore’ la stessa attenzione e l’assoluto rigore scientifico dei suoi studi di più ampio respiro.

 

“Lì Dentro – gli italiani nei social”, di Filippo Ceccarelli, edito da Feltrinelli: arguto, brillante nel raccontare le miserie della politica nostrana, Filippo Ceccarelli è uno dei giornalisti politici più originali e taglienti nel panorama editoriale. Penna raffinata prima de La Stampa, poi passato a La Repubblica, ha scritto anche per Panorama, già il suo libro precedente “Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua” del 2018″, è una sferzata alla politica italiana, un jaccuse di come si sia arrivati a questa classe dirigente. Il suo sterminato archivio giornalistico è stato donato nel 2015 alla Biblioteca della Camera. Per Feltrinelli ha pubblicato anche La suburra. Sesso e potere: storia breve di due anni indecenti (2010), Come un gufo tra le rovine (2013). Ora, col nuovo libro racconta tutta l’Italia e gli italiani, le libertà e i rischi di dipendenza da sbronza social. Un racconto esilarante ma serissimo di come siamo sempre stati. Ho avuto il piacere di conoscere Filippo Ceccarelli e sono stata collega di sua moglie Elena Polidori, altra grande penna di La Repubblica, esperta in economia e finanza.

(Filippo Ceccarelli, Roma 2022)

Dell’Italia, che Dio la protegga, dice l’autore, le piattaforme elettroniche riflettono non solo e non tanto la testa e gli occhi, ma pure le orecchie, il naso e ogni possibile orifizio senza sottovalutare le viscere, il fegato, i reni, insomma i precordi.

“Instagram mi piace da impazzire, letteralmente; Twitter per niente; Facebook non l’ho ancora capito tanto bene; YouTube mi affascina, però mi stanca, mentre TikTok deve essere formidabile, ma non ho tanto tempo e così me lo becco di seconda mano quando rimbalza sul mio schermo. Gli altri, boh, in tutta sincerità ho pure un po’ di strizza a registrarmi, eccetera. Quel che ho mi basta e soverchia, come diceva Andreotti.”
È un salto in avanti e insieme all’indietro, vengono in mente le pitture rupestri degli animaloni che precedono di parecchio la scrittura. Dentro il telefonino con la cover sdrucita da vecchio sobbalza l’ambiguità della storia in modalità tecnologica, ciò che spiega parecchio quanto di selvaggio, in tutti i sensi, s’incontra normalmente sullo schermo a cristalli liquidi.
“Benvenuto nell’orgia digitale!”
In realtà, racconta Filippo Ceccarelli, lì dentro ha trovato ciò che sempre lo aveva incuriosito e attratto dell’Italia e degli italiani. La loro espressività, la spudoratezza creativa, la sorprendente umanità. È bello poterli osservare e basta, senza criteri etici, condanne moralistiche, afflati palingenetici, distinzioni fra alto e basso. Sono così, e che ci vuoi fare? Le cantilene degli ambulanti, i tipi buffi delle spiagge, i preti pazzi, i milites gloriosi, le sciantose, le svampitone, le nonne rimbambite, i fattoni, le scritte sui cruscotti delle auto, “papà vai piano”, le scarpine da neonato sotto lo specchietto retrovisore, i rabbiosi cartelli nei condomini, le imprecazioni imprevedibili, le confessioni spudorate, le arti e i mestieri del Paese profondo, le differenze regionali, municipali, di quartiere e di campanile: “senza che me ne accorgessi Lì dentro era diventato Qui dentro”.

 

Da

“Mai in prima persona” di Laura Laurenzi, Solferino 2022. A Samarcanda, a caccia del dittatore che uccideva i dissidenti bollendoli vivi come aragoste. A Buenos Aires per le sfarzose nozze di Maradona, con una nazione alla fame. Nel deserto del Sahara, ospite del figlio di Gheddafi. A New York per la fine conclamata della castità da Aids, in giro per night club e chiese sconsacrate. Sola, e prima donna, tra quattrocento marinai a bordo della Amerigo Vespucci. Un viaggio intorno al mondo e nella storia. È quello che compie Laura Laurenzi in queste pagine inedite, ironiche e sorprendenti: un seducente racconto tra pubblico e privato tratteggiato in prima persona e con sapienza, scavando nelle pieghe di una vita dedicata al giornalismo e al costume. I sedili dell’auto di Moro in via Fani, la collana d’oro che le regalò Pietro Barilla insieme al messaggio «Con questa ti vorrei strozzare», le confidenze di Donna Letizia, la lezione di Montanelli e Pansa, il «vascello corsaro» di Scalfari, le cene di Agnelli, i ritratti dal vero di Andreotti e Cossiga, il mistero del lifting di Berlusconi, il dramma di Paul Getty III, le sfuriate della Pampanini, la visita del Che a Roma. Ogni tassello contribuisce a un affascinante affresco collettivo e compone un intimo percorso narrativo dagli anni Settanta a oggi dove si susseguono memorie, scandali e retroscena, trucchi per imbucarsi, ritratti di protagonisti ed eventi di un’epoca. Già, perchè anche i giornalisti si “imbucano” per avere informazioni, per scrutare, osservare spesso senza essere visti, ascoltare in incognita poichè l’importante è esserci, solo vedendo con i nostri occhi e sentendo con le nostre orecchie saremo sicuri e quindi si potrà scrivere quello che si vede e si sente. Quello di Laura Laurenzi, è un regalo a tutti noi, perchè ci porta in un universo che non conoscevamo e ci svela i segreti di personaggi importanti e superfamosi incontrati nel corso della sua carriera.

 

 

“Sguardo a Oriente” di Dacia Maraini, edito da Marlin 2022 a cura di Michelangelo La Luna.

Il nuovo libro esce subito dopo “Caro Pierpaolo”, dedicato al suo amico Pier Paolo Pasolini ed  è una raccolta di reportage, ricordi e racconti di Dacia Maraini su Afghanistan, Cina, Corea, Giappone, India, Iran, Palestina, Pakistan, Siria, Tibet, Turchia, Vietnam, Yemen… Sono testi in cui si sente il ritmo narrativo della grande scrittrice che, come la nonna Yoï, il padre Fosco e la madre Topazia, ama viaggiare e raccontare le vicende e i personaggi di posti lontani. Paesi come il “Caro Giappone” di cui ricorda il periodo di internamento a Nagoya dal 1943 al 1945, le vittime della bomba atomica, i morti per il “superlavoro”, l’emancipazione femminile e il fascino del teatro N? Il libro parla anche di alcune nazioni che l’autrice ha visitato con Maria Callas, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini: dalla Cina, pronta a fare “l’ultima pedalata verso il capitalismo”, allo Yemen, afflitto dalla guerra e dalle carestie, e all’India, dove sono in crescita episodi di stupro e di femminicidio. Un’attenzione particolare è riservata a problematiche attuali come la guerra civile in Siria e la coraggiosa protesta delle donne afghane contro le restrizioni imposte dal regime talebano. Vale sempre la pena leggere i libri di Dacia Maraini. Intellettuale con una grande capacità di spiegare le cose difficili del mondo con le parole semplici, la sua ricca e intensa vita è un lascito per tutti noi denso di cultura, studi, approfondimenti. Ma leggendo i suoi libri poi si incontrano tante altre vite, tanti altri autori, il secolo del novecento con tutto quello che hanno significato per il nostro paese autori come Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Personalmente ho passato molto tempo nei trascorsi “I Martedì dell’Eliseo”, quando Alberto Moravia veniva a tenere le sue conferenze a teatro. L’ho rincontrato poi al Convento occupato negli anni settanta quando assieme a Miriam Mafai partecipò al primo corso sperimentale per aspiranti giornalisti. E’ stato un piacere assistere a quel seminario la sera vicino al Colosseo. Poi c’è la tanto amata Africa, esploratori questi tre grandi amici, tra i primi di quei mondi, e il Giappone caro a suo padre Fosco, la Sicilia quasi come richiamo ancestrale, terra di sua madre Topazia che si coglie anche nel raffinato scritto: “La lunga vita di Marianna Ucria”. Il libro ci porta nel settecento a Palermo. Marianna, ragazza sordomuta del nobile casato degli Ucrìa, è costretta, ancora tredicenne, ad andare in sposa a uno zio. Ma la sua vita silenziosa sarà appunto lunga e densa di avvenimenti ed emozioni. In questo romanzo Dacia Maraini ci regala, oltre alla sua scrittura magnifica, una profonda riflessione sulla condizione delle donne e su quella umana in generale. Da leggere tutto d’un fiato.

 

 

Sua madre Topazia era nata a Palermo, vissuta tra l’Europa e l’Asia, cittadina del mondo e di certo non una “bagherese doc”, di Topazia Alliata è sempre stato offerto un ritratto pubblico di donna che ha attraversato e vissuto oltre un secolo di storia e rivoluzioni tutte al femminile, poco sul suo rapporto senza radici. Nasce nel 1913 tra gli affreschi di Palazzo Alliata di Villafranca, nel centro storico di Palermo, e vive a Villa Valguarnera tra gli agrumi di una Bagheria non ancora divorata dal cemento. Protagonista di una lunga e travolgente storia d’amore con Fosco Maraini, uno dei più grandi antropologi e orientalisti italiani del novecento, madre di ben tre figlie femmine (la maggiore è la scrittrice Dacia Maraini), vittima in un campo di concentramento in Giappone durante la seconda guerra mondiale, artista, gallerista, mecenate e imprenditrice. Ha vissuto 102 anni ma sembra impossibile concentrare tutti questi elementi in un’unica esistenza. Topazia era figlia del principe Enrico Maria Alliata di Villafranca, duca di Salaparuta, discendente di una nota famiglia aristocratica siciliana di origine toscana, gli Alliata. Topazia era certamente una donna fuori dal comune di sicuro, passeggiava da sola per le strade di Palermo in un’epoca in cui non era certo visto di buon occhio, fumava, guidava, portava i pantaloni, letteralmente. Riuscì però a convincere suo padre convinse a farle frequentare la scuola libera del nudo dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove fu la prima donna ad accedervi, e fu lì che conobbe alcuni degli artisti che divennero suoi grandi amici, tra questi Renato Guttuso. Dacia Maraini quindi trasuda di cultura in ogni cellula del suo essere. Fosco e Topazia certamente non erano mai stati due persone comuni, ma avanti intellettualmente e per cultura.

 

 

 

Nella scrittura di Dacia Maraini c’è anche una versatilità a volte non riconosciuta. Se si legge: “Lettere a Marina”, e poi magari “Bagheria” oppure  “La lunga vita di Marianna Ucria”, è come se la scrittura prendesse un’altra forma, un altro stile e questo è ancora più evidente nel suo sguardo a Oriente. “Bagheria” è un racconto affidato alla memoria. L’autrice, bambina, infatti arriva in Sicilia dopo aver trascorso due anni in un campo di concentramento giapponese. Con infantile intensità vive la scoperta delle proprie origini, della nobile famiglia materna, così radicata in quel paesaggio fatto di palazzi baronali e case che sembrano reggersi una all’altra. Nell’omertà delle pareti domestiche si consumano rapporti tortuosi, dove il prezzo da pagare ricade sempre sulle donne, sacrificate alla “legge” dell’onore in una società che tutto sa, ma finge di non vedere.

 

Monica – Vita di una donna irripetibile, Rai libri 2022 di Laura Delli Colli. Monica non è un libro per cinefili. È, invece, una storia appassionata scritta da una grande esperta di cinema, ma soprattutto da una persona che è stata per lungo tempo vicina alla grande attrice appena scomparsa, prima che cominciasse l’ultima parte – quella ritirata, in ombra – della sua vita. Il racconto di Laura Delli Colli, critica cinematografica, proveniente da storica famiglia di direttori della fotografia, intreccia con delicatezza le vicende personali della Vitti con quelle della sua carriera cinematografica, per un ritratto inedito, intimo ed emotivo quanto ricco di aneddoti e vicissitudini, di una delle più grandi attrici del cinema nostrano e internazionale, una donna dalla personalità complessa e originale, che ha vissuto la sua vita irripetibile negli anni del grande fermento artistico e della rivoluzione culturale. Laura è mia amica, e le dico spesso che ascoltarla è come leggere una biblioteca vivente sul cinema, tanta è la sua cultura cinematografica e la sua capacità di racconto, con naturalezza, con la semplicità che la caratterizza riesce a ricordare aneddoti e curiosità che solo chi ama questo mestiere come lei può avere incamerato in anni e anni di passione cinematografica. Laura Delli Colli Monica Vitti la conosceva bene quando la intervistava per i giornali con cui ha lavorato. La sua prima biografia sulla grande attrice risale al 1987 e ora per Rai Libri è uscito questo ritratto affettuoso, profondo, che terrà sempre vivo e attuale il mondo incantato degli occhi di Monica Vitti.
“Sono bionda, ho gli occhi verdi, alta 1,73, presbite, miope, astigmatica, ipermetrope e ipersensibile”. Si raccontava così la Vitti, una donna con molti dubbi, molte paure ma anche molti desideri, che voleva amare e giocare il più possibile, e dormire poco, perché dormendo le sembrava di rinunciare a un po’ di vita. Una malattia crudele l’ha obbligata a farlo allontanandola non solo dal cinema, dal suo pubblico e dalla consapevolezza del suo talento, ma anche dalla memoria di sé.

 

(Laura Delli Colli)

 

Il suo pubblico non l’ha mai dimenticata e questo nonostante i venti anni di silenzio assoluto e di mancanza sulle scene. L’autrice racconta l’avventura di una donna straordinariamente affascinante nella sua bellezza imperfetta oltre il tempo e le mode, talentuosa, anticonformista, colta e spiritosa. Originale enigmatica, tanto da essere la musa e la compagna di un regista come Antonioni e poi anche l’unica donna che poteva competere con i grandi del cinema: Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Alberto Sordi, perchè come loro aveva saputo essere anche un’attrice comica. La ricorderemo sempre come quella splendida ragazza bionda che si è persa all’improvviso nelle sue “smemorie”, ma è rimasta e rimarrà eternamente e meravigliosamente unica. Laura Delli Colli è anche l’ex presidente della Fondazione Cinema per Roma, manifestazione che ha aiutato a far crescere, direi lievitare nei suoi 5 anni di permanenza alla guida della kermesse assieme a Antonio Monda direttore artistico. Responsabile del coordinamento artistico di Cinema Italian Style, ha firmato negli anni molte biografie importanti sempre legate al mondo del cinema, tra cui  quella dedicata a Gianni Amelio, a Marco Tullio Giordana, a Ferzan Ozpetek. Laura Delli Colli è nata il 20 agosto 1954 a Roma ed è una scrittrice e giornalista italiana. Nel corso della sua carriera, è stata giornalista per AdnKronos. Successivamente, ha collaborato prima con la Repubblica, poi con Mondadori e, infine, è stata anche inviata speciale di Panorama. Delli Colli, ha  ricoperto ricopre il ruolo di presidente della Fondazione Cinema per Roma e dei giornalisti cinematografici italiani (SNGCI), ora si occupa tra le altre cose del Salina Doc Festival di Giovanna Taviani come presidente della giuria del concorso internazionale. Tra i suoi libri più originali “Il Gusto del Cinema”: (ho unito -dice – le mie due passioni, il cinema e la cucina). E’ inoltre Organizzatrice di manifestazioni come I Nastri d’Argento, assieme al SNGCI evento che fa data dal 1946.

 

 

 

Clicca sotto per chiudere la ricerca