TRAVEL/ MA DAVVERO NON SEI MAI ANDATO IN CALABRIA? C’ERA UNA VOLTA ZUNGRI LA CITTA’ DI PIETRA E POI HERA LACINIA CAPO COLONNA IL CASTELLO ARAGONESE E I MONACI BASILIANI

 Ma veramente non sei mai andato in Calabria? Allora forse non sai che in una delle aree più belle, tra Pizzo e Tropea vicino a Vibo Valentia, c’è una città di pietra: è Zungri, un insediamento rupestre che fa restare a bocca aperta chiunque lo visiti e le cui origini sono ancora poco conosciute. Gli studiosi si interrogano ancora e da tempo sull’origine di questo luogo così originale e incredibilmente bello. Ma a Pizzo Calabro poco distante da Tropea dove si gode uno dei più suggestivi tramonti guardando allo Stromboli, c’è anche una meravigliosa chiesetta nella grotta che vale da sola un viaggio in Calabria. E’ la Chiesetta di Piedigrotta, un mix tra storia e leggenda che racconta la religione, la storia e la cultura di una regione che fu spesso meta di monaci provenienti dall’Oriente e di cui si ha traccia in molti siti archeologici e religiosi, come la Certosa Gotica di Stilo, o Monte Stella poco più a sud sulla fascia jonica. Un monaco proveniente dalla Germania invece fondò la Certosa di Serra San Bruno, nelle montagne a metà strada tra il litorale jonico e quello tirrenico ma proprio a Serra San Bruno che è provincia di Vibo Valentia. La Calabria religiosa è qualcosa che non ti aspetti, ma un itinerario che mostra i luoghi “sacri” è un viaggio che porta a scoprire luoghi magici e del cuore.

 

 

 

La Chiesetta di Piedigrotta è una meraviglia e rappresenta il primo monumento in Calabria per numero di visitatori, è un sito interamente scavata nelle rocce tufacee, situato un chilometro a nord di Pizzo, in località “La Madonnella”. Al suo interno sono presenti diversi gruppi scultorei che l’arredano, anch’essi in tufo. La chiesa è contigua alla spiaggia, ed essendo esposta a ponente, ne risulta molto suggestiva la visita pomeridiana, quando i raggi del sole penetrano nelle profondità delle grotte mettendo in risalto le colorazioni dei sali minerali che ricoprono le pareti. Alcuni definiscono la visita della chiesetta come un’esperienza mistica. D’altro canto Pizzo Calabro, affacciata sul Golfo di Santa Eufemia è il cuore della costa degli Dei, famosa in tutto il mondo per il “tartufo di  Pizzo”, una eccellenza della gastronomia del Bel Paese, un gelato al cacao esportato anche in America, ma in passato Pizzo ha dato lustro anche per la presenza di diversi maestri d’ascia, una professione di spicco dei vecchi cantieri navali, quando le imbarcazioni venivano costruite in legno. Esperti dei vari tipi di legname ne riconoscevano l’essenza, l’uso, e, infine, la collocazione all’interno dell’imbarcazione. La loro bravura consisteva nel sagomare e adattare il ceppo di legno a quella che poi sarebbe stata la sua definitiva funzione. Tale operazione di sagomatura era appunto fatta con un attrezzo chiamato “ascia”.

 

A Pizzo Calabro il caratteristico centro peschereccio e balneare che ogni anno attira una moltitudine di visitatori grazie agli splendidi paesaggi e alla gustosa cucina si può assistere ad uno dei più bei tramonti sul mare. Si racconta che verso la fine del 1600, un veliero che navigava nel Golfo di Sant’Eufemia si trovò in mezzo ad una violenta tempesta. I marinai, tutti di Torre del Greco fecero voto a Santa Maria di Piedigrotta il cui quadro si trovava nella cabina del comandante, di erigere una cappella votiva nel punto dove avrebbero toccato terra in caso di salvezza. La nave naufragò violentemente contro gli scogli e andò in pezzi. Il quadro della Madonna si salvò e venne ritrovato intatto sulla spiaggia. I marinai, fedeli alla promessa, scavarono nella roccia una buca e vi depositarono il quadro, ripromettendosi di tornare e realizzare una cappella votiva. I pescatori locali, temendo che venisse rubato, prelevarono il quadro e lo portarono in una grotta poco distante edificando un piccolo altare.
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, Angelo Barone, un artista del luogo, affascinato dai racconti dei pescatori, ampliò la grotta preesistente realizzando una chiesa. Durante la dura fase di scavo, ebbe cura di lasciare alcuni blocchi di tufo che successivamente trasformò in statue. I lavori continuarono fino alla sua morte, nella primavera del 1915. Ha iniziato quest’opera certosina portata avanti ogni giorno, anno dopo anno, ingrandendo sempre di più quella che poi, nel tempo, è diventata l’attuale chiesetta, scolpendo le statue con vanga e piccone e lavorando direttamente sui blocchi di tufo. Ci ha lasciato alcune statue che rappresentano la vita di Gesù e dei Santi, aiutato nella sua opera dal figlio Alfonso, il quale, alla morte del padre, abbellì ulteriormente l’interno con alcuni affreschi. Il figlio, Alfonso Barone, volle continuare il lavoro del padre e ampliò ulteriormente la chiesa, realizzando altre statue, capitelli e bassorilievi. Nel 1969, lo scultore Giorgio Barone, figlio di Alfonso, di ritorno dal Canada, restaurò in parte le statue e scolpì due medaglioni raffiguranti Papa Giovanni  XXIII e John Kennedy. La grotta si apre in tre direzioni, le due volte laterali e la principale, quella centrale. Arcate e pilastri sostengono la roccia tufacea, e i temi religiosi offrono da un lato la Madonna di Pompei, la vita di Gesù e il bellissimo presepe che richiama le tradizioni culturali meridionali: ammirando quest’ultimo si respira la gioia dell’artista nel rendere vivo e felice una Natività ricca di speranze. Più variegata è la volta dal lato destro, dove i protagonisti di spicco sono San Giovanni e l’Angelo della Morte. In molti hanno definita la Chiesetta di Piedigrotta la massima espressione dell’arte religiosa popolare del Sud Italia e non stupisce che, con il suo fascino unico ma mai altezzoso, richiami visitatori da tutto il mondo. La chiesetta è aperta tutti i giorni e vi si celebra messa il 2 luglio in occasione della Madonna delle Grazie.
Non molto distante da Pizzo Calabro c’è Zungri, l’insediamento rupestre a cui gli storici sono tornati ad interessarsi a caccia delle vere origini di questo luogo fuori dal tempo che evocano antichi rituali e paesi lontani, si fa presto a pensare alla Cappadocia in Turchia, ma anche a Civita, vicino Roma e ad altri siti archeologici come in Etruria e in particolare a Sovana, in provincia di Grosseto. Ma Zungri ha di più la magia di un luogo nascosto, non accessibile se non lo vai a cercare e quando lo trovi rimani estasiato da tanta meraviglia. Le grotte sembrerebbero simili a quelle dei pastori in Serbia, ma ci si chiede chi fossero le figure che appaiono ai nostri occhi riportate attraverso secoli di storia. Forse monaci? Oppure guerrieri, o i contadini che abitavano nei villaggi vicini. Siamo nel versante tirrenico della Calabria, all’ombra del monte Poro, e questo misterioso sito archeologico risale, sembrerebbe, all’VIII secolo.

 

 

 

Insediamento rupestre di Zungri
(Insediamento rupestre di Zungri)

 

Notevole sembra essere la diffusione degli insediamenti rupestri in Calabria e i riferimenti a grotte sia dal punto di vista della toponomastica che negli insediamenti. Zungri offre lo scenario per una riconsiderazione sia delle “grotte” che del paesaggio rupestre. La ricerca resta condizionata a quella visione d’imprinting “basiliana” che in Calabria ha avuto una forte incidenza.

 

Insediamento rupestre di Zungri
 Ne è testimonianza anche una chiesetta di origine basiliana a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, in provincia di catanzaro: si chiama Chiesa di Campo ed è in aperta campagna.
(Video realizzato  da Simonetta Ramogida nella Chiesa di Campo)
La Calabria che non ti aspetti è anche una chiesetta rupestre nel cuore del Golfo di Squillace fondata dai monaci Basiliani, come per la bellissima cattedrale gotica di Stilo (foto di copertina) che testimonia l’influsso bizantino nel basso Jonio, e che è meta di pellegrinaggio nel giorno di Ferragosto in onore della Madonna Assunta, piena di affreschi murari, il busto di un santo e la scritta in greco: Agioj Stsfano, cioè Santo Stefano. Chi ha visitato la Cattolica di Stilo vi può trovare delle similitudini. Come pure chi è stato in Cappadocia in Turchia e ha visto le grotte, piene di affreschi. La Sovrintendenza dei Beni Culturali dovrebbe intervenire con un restauro. E’ un bene prezioso che testimonia la vita spirituale e religiosa di questa vasta area piena di storia e di reperti archeologici legati alla Magna Grecia troppo spesso non valorizzati a sufficienza.
(Chiesa di Campo)
Riportata negli antichi documenti col nome di S. Martino ed in un secondo tempo col nome di Santa Maria di Campo, è il classico esempio di chiesa rurale, che i basiliani costrui­vano nelle campagne per dare un supporto ai contadini. Più umile nelle rifiniture e nei materiali, è un inequivocabile modello compositi­vo dell’architettura del periodo. L’altare è esposto ad oriente e l’entrata ad occidente. Nel 1985, nel corso dei lavori di restauro curati dalla Amministrazione Comunale, sono stati rinvenuti preziosissimi affre­schi bizantini, presumibilmente del X e XIII secolo. I primi, nell’abside ritrovata dietro l’altare, rappresentano dei santi a figura intera, mentre i secondi, sulla parete laterale, riportano, presu­mibilmente, scene di vita religiosa. Le recenti campagne di scavo lasciano supporre, al di sotto del piano pavimentale, l’esistenza di una fattoria risalente al periodo Ellenistico cioè al III sec. a.C. La Chiesa di Campo è compresa oggi nei Cammini Basiliani ed è una testimonianza storico religiosa dell’influenza bizantina in Calabria.
Sempre nella fascia jonica,  Crotone è una delle città più antiche d’Italia: qui si conservano molte testimonianze di un passato che vide il periodo di massimo splendore all’epoca della Magna Grecia. Un viaggio tra le antichità della città, dal Parco Archeologico di Capo Colonna al Museo Nazionale.

L’antica Kroton, patria di Pitagora e sede della sua scuola, uno dei luoghi più importanti in Italia con tracce della cultura ellenica che non trova però la giusta valorizzazione in termini culturali e turistici, con le sue radici profonde radicate nella cultura del massimo splendore della civiltà ellenica, vanta un parco archeologico con importanti resti e tracce dell’antichità, il Parco Archeologico di Capo Colonna, chiamato così perché rimasta eretta un’unica colonna in stile dorico del grande tempio che sorgeva a picco sul mare e che crollò probabilmente quando quella parte di costa sprofondò.

Il Parco Archeologico di Capo Colonna
(Il Parco Archeologico di Capo Colonna)
Il Parco Archeologico di Capo Colonna
(Il Parco Archeologico di Capo Colonna)

 

A 10 Km dall’attuale Crotone, si estende per circa 50 ettari, occupando la punta più orientale del promontorio di Capo Colonna, noto nell’antichità come “Lakinion akron”. Comprende l’area archeologica, circoscritta dalle mura di età romana, una zona boschiva e a macchia mediterranea, simbolo del bosco sacro a Hera, e l’area del Museo. Nell’area archeologica sono i resti dell’Heraion Lakinion, santuario extraurbano della colonia greca di Crotone, ancora attivo in età romana. Luogo di culto molto venerato, noto anche per essere stato frequentato da Pitagora, nel V secolo a.C. divenne sede della Lega Italiota, confederazione a carattere politico e militare che riuniva tutti i Greci d’Occidente. Il santuario rappresentava un riferimento essenziale per la navigazione e un rifugio sicuro, di cui la dea si faceva garante. Hera proteggeva anche la natura e in particolare i bovini, che pascolavano liberamente all’interno del bosco a lei sacro. Trovandoci a Isola Capo Rizzuto per visitare Capo Colonna non si può non andare a visitare Le Castella, una struttura aragonese in una fascia di terra sul mare. Un Castello Aragonese di grande suggestione e bellezza.

 

(Castello Aragonese- isola Capo Rizzuto – Crotone – Calabria – Italy)

 

A Capo Colonna è legata anche la figura di Annibale, che da qui ripartì per fare ritorno a Cartagine. Il più importante edificio del santuario, come anticipato, è il grande tempio dorico di Hera Lacinia (il tempio che nel Parco è contrassegnato con la lettera A), presso il ciglio della falesia. Edificato intorno al 470-460 a.C., se ne conservano tracce delle fosse di fondazione e parte dello stilobate orientale con un’unica colonna superstite, divenuta emblema del Parco e del promontorio. Nell’area sacra sono presenti i resti di un più antico luogo di culto arcaico (edificio che nel Parco è contrassegnato con la lettera B), da cui provengono i preziosi oggetti votivi del Tesoro di Hera, conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Crotone.

 

(Tartufo di Pizzo)

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