TRAVEL/ VIAGGIO IN CALABRIA I BRONZI DI RIACE TRA MISTERI E SEGRETI LA FATA MORGANA LE CHIESE BIZANTINE E I REPERTI ARCHEOLOGI

Erano tre? No, quattro ma forse erano cinque… Si sente dire in Calabria a pochi passi da quella spiaggia nel mare di Riace, dove a 10 metri di profondità e a soli 300 metri dalla riva sono stati ritrovati i Bronzi… E allora che fine hanno fatto gli altri due? E poi, è stato davvero il sub a trovarli? O invece sono stati avvistati da quel gruppetto di ragazzini con la barchetta tra le onde del Mar Jonio che individuarono per primi i reperti archeologici prima del loro ritrovamento ufficiale? Misteri difficili da svelare attorno alla scoperta archeologica di portata mondiale che alimenta una storia enigmatica. Fu veramente il sub Stefano Mariottini a trovarli? Sono diversi gli archeologici che hanno cercato di dare una risposta. Al momento i Bronzi sono due e custoditi dopo un grande lavoro di restauro nel Museo di Reggio Calabria. Riace del resto, celebre per i Bronzi e anche un pò per Mimmo Lucano, è un piccolo paesino affacciato sul mar Jonio, in provincia di Reggio Calabria, che dopo il ritrovamento delle due celebri statue ha visto crescere la riviera come non mai e anche il turismo. Sono databili al V secolo a.C. pervenute in eccezionale conservazione e quest’anno si festeggiano i 50 anni dal momento in cui sono state rinvenute in una spiaggia nel basso Jonio. I Bronzi di Riace riemersi dal mare colore del vino il 16 agosto 1972  sono considerati tra i capolavori scultorei più significativi dell’arte greca e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell’età classica. Le ipotesi sulla provenienza e sugli autori delle statue sono diverse, ma non esistono ancora elementi che permettano di attribuire con certezza le opere ad uno specifico scultore. Molte le leggende che gravitano attorno al ritrovamento. Ma in ogni caso, forse quest’anno vale la pena più che in altri momenti fare un salto a Reggio Calabria, che è comunque una bella città, con un lungomare da fare invidia a tante altre, con la Sicilia che ti strizza l’occhio oltre il mare e ti ricorda che ti trovi in un luogo di magnifica beatitudine, basta saperlo ascoltare…

(i Bronzi di Riace)

Uno giovane, l’altro meno, entrambi forti, tonici, nudi in posa naturale. Anatomicamente perfetti, come pronti alla battaglia. Forse avevano un elmo, una lancia appoggiata su un fianco, uno scudo, dettagli di cui ancora si parla a 50 anni dal loro ritrovamento. Mezzo secolo di Bronzi di Riace e gli archeologi ancora ragionano se fu Fidia o Pythagoras di Reggio a forgiarli (oppure Policleto, Mirone, Agelada o Alcmene?) e in quali anni. Se furono creati dalle maestranze di una bottega del Peloponneso, o a Delfi, se rappresentassero Polinice ed Eteocle, fratelli di Antigone, e se in origine fossero un gruppo scultoreo di cinque guerrieri (o di tre?). Erano destinati forse a Costantinopoli per abbellire la città dell’imperatore? Nessuno lo può sapere. Fatto è che i due guerrieri sono custoditi nel Museo più rappresentativo della Magna Grecia e della Calabria antica e andando a visitarlo vi si scovano tanti altri tesori. Il MuRc infatti, oltre ai Bronzi, custodisce in un ricco percorso espositivo, le testimonianze preistoriche, quelle delle grandi colonie di Sibari e Crotone, di Medma e Hipponion, Caulonia e Locri, di Rhegion, di cui sarà possibile visitare anche i rispettivi parchi e musei.

(le ceramiche d’arte di Squillace)

I due guerrieri, quasi due dei, sono collocati su due grandi basamenti antisismici e solo vedendoli da vicino ci si accorge di quanta forza e vigore possano emanare. Il guerriero e l’austero, uno aveva una lancia e l’altro un elmo. Così diversi che sembra ci sia un dialogo fra loro. Valgono da soli una visita di Reggio, ma l’errore sarebbe la toccata e fuga. Come loro, quasi nessuno al mondo, perché le statue si facevano di marmo, e a volte era il marmo che veniva da un bronzo, ma sappiate che altri particolari li rendono unici: gli occhi di quarzo, i capezzoli e le labbra in rame, i denti in argento di una delle statue Hanno circa 2.500 anni, la terra di fornace che hanno riportato ci dice che nacquero ad Argo. Resta il mistero su come finirono in quella spiaggia di Riace battuta dal vento. Chi è il più bello del reame? Difficile scegliere, uno è più giovane, l’altro forse più bello. Il mistero non è svelato, il mito è là davanti ai nostri occhi e sfodera tutto il suo potere, la sua autorevolezza, la possanza di due guerrieri più alti di ogni altro uomo, più vigorosi e per questo appartenenti al mondo della simbologia, in questo caso del potere. L’anniversario dei 50 anni dal ritrovamento dei Bronzi di Riace sarà forse l’occasione per mettere in rete tutto il patrimonio archeologico della regione Calabria, spesso conosciuto, a volte perfino nascosto, e accompagnare i visitatori alla scoperta dei tesori della Magna Grecia e della Calabria antica. Intanto con il coinvolgimento di Messina, Napoli, Bari e Roma, i festeggiamenti dureranno tutto il 2022, non sarà festa solo il 16 agosto, giorno del ritrovamento ma le celebrazioni avranno un forte impatto sul territorio. 

 

 

 

 

(la Certosa di Serra San Bruno)

 

La visita al MuRc per vedere i Bronzi di Riace diviene l’occasione per lasciarsi sorprendere dalla città sullo Stretto. La sorpresa dei viaggiatori dell’Ottocento è pure quella dei turisti di oggi:  il lungomare di Reggio Calabria è unico anche grazie alle luci della Sicilia, all’Etna che incombe come il Kilimangiaro, ai venti che si incrociano e rendono  lo Stretto ora il mare tempestoso dei naufragi, ora fiume, ora lago.  È la scoperta di una città ricostruita in stile liberty ed eclettico dal mare in su per le prime cinque-sei traverse, dopo il terremoto che la devastò, nel 1908. È un orto botanico a cielo aperto, una location per selfie e innamorati, gli sposi invece si mettono in posa sotto le palme. La sorpresa è quella di trovare un posto così scenografico e ben tenuto in una città stroncata dai luoghi comuni, con troppo cemento nella sua parte alta e panoramica, una vista spettacolare per esempio dall’Università Mediterranea che domina lo Stretto, e le colline da dove si vedono le Eolie.  È Reggio Calabria, una città che fu distrutta per il 95 per cento dal sisma, e ha avuto poi una evoluzione non coerente. Ripensata in forma squadrata e regolare, superata la concezione medievale che la faceva vivere intorno al Castello, fu protagonista di una ricostruzione virtuosa negli anni Venti. Non mancarono certo gli scandali e gli sprechi. Le baracche in legno sopravvissero fino agli anni Sessanta. Ma la via Marina è sempre rimasta un gioiello. Rispetto alla dirimpettaia sullo Stretto, Reggio Calabria ha mantenuto lo sguardo aperto e le panchine rivolte al mare. Grazie all’interramento della ferrovia di fine secolo, può contare oggi su otto chilometri di waterfront e piste ciclabili, direttamente collegate al centro della città: e i bambini non hanno bisogno di verde, perché il loro verde è il blu.

 

(Le Castella- Castello Aragonese – Isola Capo Rizzuto)

 

Le piante trovano qui il loro clima ideale. La strelitzia regna e regala fiori arancioni o bianchi. Le palme, i ficus, i pini marittimi, le magnolie, gli eucalipti, gli oleandri resistono al vento. Come quei lampioni di inizio Novecento che una città francese voleva acquistare per abbellire il suo lungomare. L’aloe, così alla moda oggi, protegge da cento anni i monumenti. Sulle enormi radici del fico magnolioide si siedono i ragazzini, per il tempo di una foto. Sono piante secolari, arrivano da tutto il mondo. Le scale e l’anfiteatro si tuffano in mare, molti reggini mettono il costume, o il giubbotto per la vela, in pausa pranzo. Quello che forse D’Annunzio chiamò “il più bel chilometro d’Italia” (ma anche su questa frase il dibattito è rovente) oggi è il biglietto da visita di una città nota a torto solo per la cronaca nera.

 

La prima volta che andai a Reggio Calabria rimasi sorpresa dalla maestà degli alberi di ficus nel lungomare. Alti, giganti, prorompenti, con le chiome enormi quasi a voler offrire riparo dalla calura estiva, sono lì testimoni della maestà di un lungomare che pare vestito sempre a festa. Ci pensano le luci che provengono dalla Sicilia a ricordarti che Reggio Calabria è come una nobile signora che è lì per essere ammirata. La Fata Morgana si rivela proprio tra Calabria e Sicilia con la sua magia. Sullo Stretto di Messina, lo spettacolo che incanta di oggetti che sembrano sospesi nel vuoto lascia a bocca aperta chi ha la fortuna di assistere al “miraggio”. Chi la vede ne rimane quasi ipnotizzato. La leggenda della Fata Morgana è legata alla mitologia celtica, disorientava i marinai tra L’Etna e lo Stretto di Messina, dove aveva scelto di dimorare. Morgana, sorella di Re Artù, aveva la sua dimora nel profondo del mare dello Stretto di Messina: solo tre chilometri separano la Calabria dalla Sicilia che sembrano quasi potersi toccare. In realtà quello della Fata Morgana è un effetto ottico che si verifica con il tempo sereno e l’aria tersa, generalmente all’alba e si deve alla formazione di un condotto atmosferico prodotto dalla luce del sole che passa attraverso strati di aria a temperature diverse, che diventa come una lente di rifrazione generando una serie di immagini.

 

(il Paesaggio sulla Costa Tirrenica in provincia di Reggio Calabria dal Monte Sant’Elia)

 

In una lettera datata 1648 e diretta al frate Leone Sancio, Ignazio Angeluccio racconta di trovarsi a Reggio Calabria, e descrive così l’evento della Fata Morgana:

Il mare che bagna la Sicilia si gonfiò e diventò per dieci miglia di lunghezza come una spina di montagna nera, e quella della Calabria spianò, e comparve in un momento un cristallo chiarissimo e trasparente che pareva uno specchio e pareva con la cima appoggiare sulla montagna e col piede al lido della Calabria.

In questo specchio subito comparve una fila di più di diecimila pilastri equidistanti, tutti di un vivissimo chiarore e uguali in larghezza e altezza, di un’altra medesima tinta erano gli sfondi tra i pilastri. In un momento poi i pilastri si smezzarono di altezza e si curvarono in una forma simile a quella degli acquedotti di Roma, e restò semplice specchio il resto del mare, ma per poco; perché tosto si formò un gran cornicione.

Poco dopo sopra il cornicione si formarono castelli reali in quantità, disposti in quella vastissima piazza di vetro, e tutti di una forma e lavoro. Poscia le torri si cambiarono in teatro di colonnati e, il teatro si estese e fece una doppia fuga; quindi la fuga dei colonnati divenne una lunghissima facciata di finestre in fila; in quella facciata si vide una varietà di selve, di pini e di cipressi uguali, e di altre varietà di alberi; poi tutto disparve, e il mare, con un po’ di vento tornò mare.

Questa è la Fata Morgana che per anni ho stimata inverosimile ed ora ho veduto vera e più bella di quella che mi si era dipinta”.

(il fenomeno della Fata Morgana)

 

Reggio specchio della Calabria in bianco e nero, tra panorami struggenti e  rifiuti, il verde profondo e lo stabile instabile e non finito. Il sacco edilizio degli anni Sessanta l’ha resa meno bella: ma tutta la zona del centro e del lungomare resta l’orgoglio di chi vi abita anche per la sua armonia. In contraddizione con quello che Corrado Alvaro scrisse della Calabria: «Qui la bellezza è pura geologia».  Poi ci sono Scilla e Cariddi,  luogo così tempestoso e feroce nella leggenda, nell’Odissea e nella Divina Commedia, così splendente anche in inverno. Scilla è un posto magico con il suo borgo di Chianalea e le barche parcheggiate sotto casa come fossero automobili, anche qui si trova un magnifico Castello che sovrasta la cittadina tutta costruita a strapiombo sul mare ed è il Castello Ruffo di Calabria. Ma Scilla in alcuni punti pare invece costruita sull’acqua, come Venezia.  E poi c’è l’eterno dibattito sul Ponte. In via Marina coesistono epoche e strati che attraversano i millenni. In Calabria la storia ha resistito ai terremoti, alle alluvioni che spostano i paesi e che deportano gli abitanti. Reggio è stata ricostruita dopo il 1783 e il 1908. Ma il suo sottosuolo e il suo mare hanno continuato a regalare sorprese.

 

(Chianalea di Scilla)

 

Per ammirare i Bronzi di Riace, si scopre che il Museo Archeologico di Reggio non è fatto solo dei due giganti ma racconta l’evoluzione plurimillenaria di una città.  Una città che è stata greca, romana, bizantina, normanna, spagnola. Per scoprire il Museo prendetevi tempo. La degna conclusione prevede un passaggio dentro una camera di decontaminazione. Preparatevi un tuffo al cuore, poi godetevi la collezione: la varietà delle interpretazioni e delle reazioni fa la bellezza dell’arte, inutile aggiungere altro. Tra i siti archeologici più importanti è impossibile non citare il Tempio di Hera Lacinia a Isola Capo Rizzuto e Capo Colonna, Le Castella, il Museo Archeologico di Caulonia, con siti praticamente sul mare, e gli scavi di Caulonia, sempre sul mar Jonio. La Calabria è anche terra di Castelli.

 

 

(Castello Carafa- Santa Severina – Crotone)

 

 

Tra i più belli, Il Castello svevo aragonese di Rocca Imperiale è un castello quadrilatero fornito di otto torri, cinto da mura merlate e dotato di un fossato. Costruito tra il 1225 e il 1240 circa, è una delle principali attrazioni del comune. Il Castello di Stilo o semplicemente Castello Normanno è un castello di epoca normanna costruito a Stilo in Calabria da Ruggero II sul Monte Consolino nell’XI secolo. Stilo, famosissima per la sua Certosa bizantina, la Cattolica, era meta di pellegrinaggi nei tempi passati, che si spingevano fino a Santa Maria della Stella, un Santuario che è nato in una grotta. Il  Borgo di Monte Stilo e l’Eremo di Santa Maria della Stella (o Santuario di Monte Stella) sono due gioielli nel territorio del comune di Pazzano, in provincia di Reggio Calabria, e testimoni tangibili di una Calabria bizantina, regione-scrigno di posti meravigliosi. Il borgo custodisce attrattive di notevole interesse come la fontana “Gebbia”, il Duomo, il Tempietto di San Nicola da Tolentino e il Castello Normanno.

 

 

(Santuario Santa Maria della Stella)

 

All’ Eremo di Monte Stella si può giungere attraverso due percorsi alternativi: la strada che da Stilo porta al monte oppure attraverso il ripido sentiero di montagna che parte dalla “Fontana vecchia” del comune di Pazzano. Giunti in cima, nei pressi della grotta, si resta sensibilmente colpiti dal paesaggio suggestivo: attraverso una scalinata di 62 gradini scavata nella roccia, si accede al luogo di preghiera e di contemplazione, abitato dagli Eremiti per circa due secoli. Il primo documento sull’eremo è il Codice greco 598 di Parigi, contenente le opere del teologo Sant’Efrem diacono. All’arrivo dei Saraceni, Cristodulo, che era il custode dell’eremo, fuggì a Patmos, portando con sé il codice. Alla fine dell’invasione saracena, Paolo, successore di Cristodulo, tornò a Stilo. Qui riportò molti manoscritti che costituirono parte della biblioteca di Santa Maria.

Le origini di Stilo invece sono legate alla città magnogreca di Caulonia, fondata intorno all’VIII secolo a. C. nel territorio dell’attuale comune di Monasterace. La colonia è distrutta dal tiranno di Siracusa Dionigi I, nel 389 a. C. A seguito di tali vicende, gli abitanti del luogo iniziano una prima migrazione verso il promontorio di Cocinto (oggi Punta Stilo). Rinata e alleatasi con Roma nel 270 a. C., fu ancora una volta rasa al suolo da Annibale, durante la seconda guerra punica. La zona entra in maniera definitiva nella sfera di influenza romana verso la fine del III secolo a. C. In quest’epoca, assume il nome di Stilida. Nel VI secolo d. C., comunque, diventa parte dell’Impero Romano d’Oriente. Nel 982, lungo la fiumara Stilaro, si affrontano l’esercito di Ottone II e dei suoi alleati longobardi e quello dell’emiro di Sicilia Abū l-Qāsim ʿAlī, in una battaglia che coinvolge anche il borgo. Sono questi gli anni dell’omicidio ad opera dei mori dell’arconte del villaggio bizantino di Cursano e del rapimento di sua moglie, futura madre delsanto Giovanni Theristis. La chiesa gotico bizantina di Stilo ha ancora al suo interno affreschi risalenti alle antiche dominazioni, ma è un gioiello di rara bellezza.

 

(dal film Aspromonte- Terra degli ultimi)

 

Ancora tra i Castelli, quello di Corigliano Calabro è una fortezza risalente all’XI secolo, sito a Corigliano Calabro, nel comune di Corigliano-Rossano, in provincia di Cosenza. È stato definito come uno “fra i castelli più belli e meglio conservati esistenti nell’Italia meridionale”. Che dire poi del castello di Roseto Capo Spulico tutto sul mare, maestoso, quasi a sorvegliare la costa da possibili intromissioni.

A  Pizzo Calabro, sul Mar Tirreno vicino a Tropea, c’è il Castello Murat, l’antica fortezza militare e prigione, in ricordo di Gioacchino Murat che nel 1815 qui venne prima imprigionato e poi fucilato il 13 ottobre dello stesso anno e che offre mostre storiche, una libreria e vedute panoramiche. A Tropea inoltre c’è il più bel tramonto sul mare al mondo: affacciati sulla terrazza Belvedere della piccola cittadina arroccata su una montagna a strapiombo sul mare, è possibile ammirare il tramonto sullo Stromboli, e in alcune situazioni atmosferiche il panorama è davvero mozzafiato. Poco più a sud, alle spalle di tropea c’è il Monte Sant’Elia, un posto magico da visitare assolutamente.
(Tramonto a Tropea che guarda lo Stromboli)
Il Castello Aragonese di Isola Capo Rizzuto, noto anche come Le Castella, si erge praticamente sul mare e un lembo di terra lo ricongiunge alla cittadina. La sabbia qui è rossa, i detriti del mare e i fossili hanno creato massi enormi sulla spiaggia che ho fotografato all’imbrunire scegliendo di scattare ombre di donne che si disegnavano sulla terra fossile.
(il Castello di Roseto Capo Spulico)
E poi c’e’ Gerace un comune italiano di 2 404 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria in Calabria. Si trova nel Parco nazionale dell’Aspromonte, il centro storico conserva un’impostazione medievale è uno dei Borghi più belli della Calabria, con le sue chiese che dominano il centro storico e la magnifica cattedrale.

(Scilla)

Incuriositi da tanta bellezza, è il caso di lasciarsi trascinare dalla ricchezza di questa terra e dei suoi tesori. Catanzaro, tra antico e moderno, arroccata su un promontorio tra i due mari, lo Jonio e il Tirreno ha alle spalle la Sila Piccola, avamposto di quella Grande che ospita laghi artificiali e pini loricati secolari, essa mostra inoltre come non una, ma molte anime diverse coesistono nel centro storico.  Dall’alto della terrazza di Bellavista, dove l’antica Porta Marina dava accesso alla città, si scende alla scoperta dei rioni. Ognuno identifica un periodo storico o una vocazione: la Grecìa, con il suo intrico di “coculi”, è il quartiere più antico, ridisegnato a più riprese, come testimoniano toponimi di retaggio bizantino (riferiti principalmente all’arte della seta, che qui fu fiorente per molti secoli a venire: oggi il rione Filanda ne porta le tracce), o edifici religiosi di epoca normanna, come la chiesa di San Nicola (XIII secolo) e quella di Sant’Omobono (XII), superstiti della Catanzaro medievale. Anche il Duomo, seriamente danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale, ingloba quel che resta della cattedrale duecentesca.

 

 

 

(Capo Colonna – Isola Capo Rizzuto)

 

La Catanzaro del XX secolo è invece quella Liberty del quartiere San Leonardo (la temperie dell’epoca si respira ancora alla Farmacia del Leone, in attività dalla fine dell’Ottocento a Palazzo Fassari) e di Villa Margherita, e quella immaginata negli Anni Sessanta dall’architetto Saul Greco, che progettò, tra gli altri, il Palazzo della Provincia, il Teatro Comunale. Al 1962 risale anche il Ponte Bisantis di Riccardo Morandi struttura ad arco in calcestruzzo, grande opera di ingegneria, seconda in Europa per altezza e prima in Italia per luce, altezza e lunghezza, che ricorda tuttavia a memoria la tragedia del ponte Morandi di Genova. Ma a Catanzaro non si può non fare una visita alla Casa della Memoria di Mimmo Rotella.

 

(il Ponte Morandi di Catanzaro)

 

Nella casa natale dell’artista, dal 2005 la Fondazione Mimmo Rotella si impegna a tutelare e promuovere l’opera dell’autore del Manifesto dell’Epistaltismo. Il percorso espositivo attraversa gli ambienti di un appartamento che Rotella concepì come luogo sacro, ripercorrendo vita e carriera dell’artista calabrese con foto, cimeli, opere. Lo spazio è anche centro di ricerca e ospita sovente esposizioni di arte contemporanea. Alle pendici della Sila Piccola, il borgo di Taverna, le cui origini risalgono alla colonizzazione greca, si raggiunge in una trentina di minuti d’auto da Catanzaro. Conosciuta per aver dato i natali a Mattia Preti tra i più importanti esponenti della pittura napoletana del Seicento, conserva tra edifici religiosi e collezioni museali un cospicuo nucleo di opere del “Cavalier Calabrese” e di suo fratello Gregorio, esposte sugli altari di alcune chiese (a Santa Barbara e San Martino) e presso la Pinacoteca Pretiana nella chiesa barocca di San Domenico, che ospita undici tele del pittore. Ma una volta arrivati nella Sila Piccola è impossibile non ammirare il Villaggio Mancuso e non assaporare i cibi che esprimono il terroir come le scilatelle con lo spezzatino, i butirri e il cacio cavallo silano, i vini prodotti con i vitigni autoctoni. Alle pendici della Sila Piccola, il borgo di Taverna, le cui origini risalgono alla colonizzazione greca, si raggiunge in una trentina di minuti d’auto da Catanzaro. Conosciuta per aver dato i natali a Mattia Preti tra i più importanti esponenti della pittura napoletana del Seicento, conserva tra edifici religiosi e collezioni museali un cospicuo nucleo di opere del “Cavalier Calabrese” e di suo fratello Gregorio, esposte sugli altari di alcune chiese (a Santa Barbara e San Martino) e presso la Pinacoteca Pretiana nella chiesa barocca di San Domenico, che ospita undici tele del pittore.

 

 

Mattia Preti, chiesa di San Domenico, Taverna © Regione Calabria

 

A spasso tra i boschi l’atmosfera è da fiaba, se non si ha fretta di raggiungere la riviera vale la pena arrivare nella Sila Grande tra i 1100 e i 1400 metri di altezza per conoscerla, ammirarla e respirare la sua aria profumata di vegetazione incontaminata e secolare tra i laghi Arvo, Cecita e Ampollino e quelli più piccoli Ariamàcina, del Votturino e del Passante. Con la neve i paesaggi sono magnifici anche per la presenza dei laghi, la Sila in genere nella stagione sciistica è il luogo d’Italia dove nevica prima di altre località.

 

 

 

 

(la Sila Grande)

 

Scendendo verso il Mar Jonio alla Roccelletta è possibile immergersi in un paradiso archeologico: Il Parco di Scolacium, l’antica Squillace, che oltre ad essere la sede della Sovrintendenza delle Belle Arti, custodisce un patrimonio archeologico ed ospita spesso mostre e installazioni originali.

 

 

Il Parco Archeologico di Scolacium, Catanzaro © Regione Calabria
(il Parco Archeologico di Scolacium, Catanzaro )

Scolacium – il cui nome si deve all’epoca romana, si fa coincidere con l’antica colonia greca di Skylletion (dove nacque Cassiodoro). Oggi il Parco si raggiunge in località Roccelletta di Borgia, ed è uno dei siti archeologici più importanti del Sud Italia: circondate dagli ulivi, con vista sul mare del golfo di Squillace, vestigia del passato classico convivono con i resti dell’imponente basilica normanna di Santa Maria della Roccella. Restano, nel Foro romano, alcuni tratti di strade lastricate, parti di acquedotto, sepolcri e un impianto termale, oltre al teatro del I secolo d.C., costruito su un declivio naturale, che poteva ospitare più di 3 mila spettatori, e all’anfiteatro voluto da Nerva.

 

(Soverato-Baia dell’Ippocampo- Bandiera Blu 2021)

 

Arrivati a Squillace, oltre a visitare il magnifico Borgo antico, sede vescovile su cui svetta un mirabile Castello Normanno Svevo si può pensare di visitare le botteghe d’arte di ceramica, che riprendono l’arte greca e che sono ormai patrimonio storico culturale del luogo. Alcuni disegni che ancora oggi adornano le ceramiche provengono dalla cultura della Magna Grecia. La cucina locale è rinomata e si affida alla preparazione del baccalà, antica tradizione calabrese che si contraddistingue in particolare nel paese di Mammola. La presenza del golfo di Squillace è costante negli scorci che si apprezzano dalla città. Un minitour alla scoperta del territorio, in direzione del litorale ionico, non può prescindere dalla visita alla cittadina che dà il nome a questo tratto di costa, peraltro punteggiato di celebri spiagge. Squillace mantiene l’impianto medievale che circonda il castello normanno, a 300 metri d’altitudine sul versante orientale della Catena delle Serre; prima di lasciare il borgo, sul fiume Ghetterello, si fa apprezzare il Ponte del Diavolo, a schiena d’asino. Ripartendo in direzione Montauro, altra preziosa testimonianza di un passato lontano è la Grangia di Sant’Anna, magnifico rudere che attesta il prestigio monastico in epoca normanna, in relazione alla fondazione della Certosa di Calabria, che si trova a Serra San Bruno.Con i suoi 1390 chilometri, il Cammino Basiliano attraversa l’intera Calabria sulle tracce di San Basilio in 73 tappe su strade bianche, sentieri, mulattiere e strade asfaltate. Per averne un assaggio, nell’arco di una giornata è facilmente percorribile la tappa che da Catanzaro porta a Tiriolo, in posizione strategica tra i due mari (lo Ionio e il Tirreno). Nelle giornate limpide, il cammino regala persino panorami dell’Etna e delle isole Eolie, addentrandosi nell’entroterra lungo la SS 19. Poco più di 17 chilometri, percorribili anche in mountain bike.

 

(le ceramiche di Squillace)

 

Tiriolo è famosa per il suo artigianato e in particolare per le “pezzare”, tappeti fatti al telaio dalle artigiane locali che mescolano insieme ritagli di stoffe e di calze femminili. Del resto l’artigianato della tessitura inn questa regione ha radici antiche e nel passato ogni famiglia possedeva un telaio. Adesso in alcuni Borghi giovani donne stanno riprendendo l’antica usanza, come è il caso di San Floro dove addirittura si è tornati ad allevare il baco da seta, o appunto a Tiriolo dove la manifattura delle “pezzare” e degli scialli, coperte e tappeti non si è fermata mai.

In venti minuti si raggiunge Soverato: la città vecchia è un Borgo fortificato di origine bizantina, abbandonato alla fine del Settecento. Ora la vita si svolge soprattutto sulla costa e Soverato da Borgo di marinai è diventata una ridente cittadina turistica, attrazione per giovani e famiglie per le vacanze estive, forte di un lungomare che potrebbe far invidia a molte città del Belpaese, di un mare che ormai da tre anni è Bandiera Blu e di una spiaggia bellissima e attrezzata ma dove è anche possibile trovare chilometri e chilometri di arenale libero. 

 

(La Cattolica di Stilo)

 

Se invece si preferisce visitare la costa tirrenica, un itinerario interessante è quello che porta dal centro dell’Aspromonte verso le Serre, lungo un percorso di 140 chilometri tra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, attraverso 33 comuni e cinque centri storici: Fabrizia, Mongiana, Bivongi, Serra San Bruno e Santo Stefano in Aspromonte. E’ l’itinerario del Sentiero del Brigante.

Da Gambarie a Carmelia il sentiero si articola in varie tappe: Zervò, Trepidò, Passo del Mercante, Passo della Limina, Mongiana, Bivongi, fino a Stilo, con strutture d’accoglienza lungo il cammino o nelle sue immediate vicinanze e può essere percorso a piedi, in mountain bike o a cavallo ed è indicato in alcuni tratti per le attività didattiche. Dall’inizio alla fine, il sentiero incontra numerosi siti di grande interesse, antiche dimore nobiliari, strutture fortificate, resti archeologici, boschi ricchi di biodiversità, viste emozionanti, villaggi caratteristici e diventa così accoglienza del popolo dei viaggiatori. Di grande interesse naturalistico grazie alla presenza di foreste, torrenti, ruscelli, cascate, paesaggi alpestri e mediterranei, insediamenti rurali, dimore nobiliari, centri abitati, emergenze architettoniche, siti di archeologia industriale. E’ dotato, inoltre, di segnavia di colore rosso-bianco-rosso nelle due direzioni di marcia identificato dalla sigla SB e attraversa il Parco nazionale dell’Aspromonte e il Parco regionale delle Serre. 

 

(la Cattolica di Stilo)

 

La Calabria è ancora l’unica regione dove resiste l’intera filiera della seta. Dal 1914 Miriam Pugliese, Giovanna Bagnanto e Domenico Vivino a San Floro, piccolo Borgo a pochi chilometri da Soverato, hanno aperto una cooperativa dal nome: Il Nido della Seta, e hanno messo a punto un nuovo progetto che prevede l’allevamento del baco da seta per riprendere un’antichissima produzione di produzione di tessuti di seta pura, facendo rivivere antichi telai per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito per tre giovani. Nei secoli XIV e XVIII la città di Catanzaro era addirittura la capitale della lavorazione della seta, la cui origine (che risalirebbe al 3000 a. C. in Cina) e la produzione s’intrecciano miti a mezze verità: gli indizi e le ipotesi si avvicendano da secoli e ci fanno indovinare quanto sia difficile rintracciare le sue vere origini, persino nei confini limitati di una regione come la Calabria, dove, infatti, tra alti e bassi, e persino l’epidemia dei bachi (la pebrina) nell’Ottocento, con cui la gelsibachicoltura entrò definitivamente in crisi, i centri di produzione o allevamento dei bachi erano disseminati un po’ ovunque.

Il Museo della Seta di San Floro
(Il Museo della Seta di San Floro) 
Il Museo della Seta di San Floro

(il Museo del Baco da Seta di San Floro)

Sono molte le eccellenze enogastronomiche della Calabria ma quella da segnalare fa riferimento a una cittadella affacciata sul Mar Tirreno: Diamante, dove ogni anno si celebra il peperoncino.

Il Festival fu ideato dal giornalista Enzo Monaco nel 1992, anno in cui si festeggiava il cinquecentenario della scoperta delle Americhe. Diamante, paese in provincia di Cosenza, ospita per 5 giorni l’evento dedicato al prodotto immancabile nella cucina calabrese: il peperoncino. Grazie a questo evento si conosce a fondo la storia del peperoncino (proveniente dalle Americhe) e scoprire tutte le sue 500 varietà.

Tra le specialità a base di peperoncino la ‘Nduja di Spilinga, la Rosamarina di Amantea, la Sardella di Crucoli (da spalmare sulla bruschetta, a base di Bianchino) ed il Morsello (Morseddu) di Catanzaro (una specie di trippa, con molto sugo al pomodoro e peperoncino).

 

 

Ci sono poi: la soppressata, la cipolla di Tropea, i Butirri della Sila, il Cacio cavallo silano, le scilatelle e la pasta al bergamotti, gli oli dop e le cantine che producono vini da vitigni autoctoni con grande sacrificio e determinazione, ma tutto questo merita un nuovo approfondimento…

 

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