PHOTO&MOVIE/ LA CINA PRIMA DI MAO GLI ULTIMI GIORNI DI PECHINO A MILANO LA MOSTRA DI HENRI CARTIER BRESSON

“Non mi interessa documentare. Documentare è estremamente noioso e io sono un pessimo giornalista. Quando ho fatto una mostra al Museum of Modern Art nel 1946, il mio amico, Robert Capa, mi ha detto: “Henri, stai molto attento. Non devi avere l’etichetta di un fotografo surrealista. Se lo fai, non avrai un incarico e sarai come una pianta da serra. Fai quello che vuoi, ma l’etichetta dovrebbe essere “fotoreporter”.

Tutta la mia formazione è stata nel Surrealismo. Mi sento ancora molto vicino ai surrealisti. Ma Capa aveva perfettamente ragione. Quindi non ho mai menzionato il Surrealismo. Questo è un mio affare privato. E quello che voglio, quello che cerco, sono egualmente affari miei. Altrimenti non avrei mai avuto un incarico. Il giornalismo è un modo per annotare: beh, alcuni giornalisti sono scrittori meravigliosi e altri stanno semplicemente mettendo i fatti uno dopo l’altro. E i fatti da soli non sono interessanti. È un punto di vista sui fatti che conta e la fotografia ne è l’evocazione. Alcune fotografie sono come un racconto di Cechov o un racconto di Maupassant. Sono cose veloci e c’è un intero mondo in loro. Ma chi scatta ne è inconsapevole mentre lo cattura.

È una cosa meravigliosa da fare con la fotocamera. L’immagine ti salta fuori. Sono estremamente impulsivo. Terribilmente. È davvero una seccatura per i miei amici e la mia famiglia, ma essere un tipo così impulsivo e nervoso è vantaggioso in fotografia, e ne approfitto, non penso mai. Inquadro, veloce! Colpisco”! Così Henri Cartier Bresson.

 

 

Si potrà visitare fino al prossimo 3 luglio, al MUDEC – Museo delle Culture di Milano, la mostra “Henry Cartier-Bresson Cina 1948-49 – 1958”, oltre cento immagini originali, documenti e materiale d’archivio che raccontano il viaggio e lo storico reportage del grande fotografo francese in terra cinese. “L’occhio del secolo” così era soprannominato Cartier-Breesson, uno dei più importanti protagonisti culturali del 1900, il pioniere del fotogiornalismo.

 

 

La mostra è prodotta da 24Ore cultura – Gruppo 24Ore, promossa dal comune di Milano-Cultura e curata da Michel Frizot e Ying Lung Su e realizzata in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson. Si tratta di un’esposizione che racconta due momenti “chiave” della storia della Cina: la caduta del Kuomintang e la rivoluzione maoista attraverso lo sguardo attento del fotografo che più di ogni altro fu maestro del  reportage, riuscendo nell’intento di trasmettere all’Occidente anche aspetti che la propaganda di regime cercava di celare. Scatti in bianco e nero che evidenziano forma e sostanza della realtà catturando l’istante decisivo, la contemporaneità delle cose e della vita.

 

 

Oltre cento stampe originali raccontano gli “ultimi giorni di Pechino” prima del comunismo e documentano il “grande balzo in avanti” della Cina di Mao Zedong

La mostra “Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-49 | 1958”, personale legata a due reportage cinesi per i quali il grande fotografo è ricordato come maestro assoluto del cosiddetto “istante decisivo” e definisce  un eccezionale corpus di fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese: oltre 100 stampe originali insieme a pubblicazioni di riviste d’epoca, documenti e lettere provenienti dalla collezione della Fondazione HCB. Il percorso racconta due momenti-chiave nella storia della Cina: la caduta del Kuomintang e l’istituzione del regime comunista (1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958). Un momento importante nella storia del fotogiornalismo mondiale, vissuto attraverso il personale approccio di Cartier-Bresson, il quale per primo evidenzia – attraverso l’occhio del suo obiettivo – temi importanti del cambiamento nella storia contemporanea cinese, riuscendo a presentare al mondo occidentale aspetti tenuti nascosti dalla propaganda di regime, come lo sfruttamento delle risorse umane e l’onnipresenza delle milizie.

 

 

Il 25 novembre 1948 la rivista “Life” commissiona a Henri Cartier-Bresson un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” prima dell’arrivo delle truppe di Mao. Il soggiorno, previsto di due settimane, durerà dieci mesi, principalmente nella zona di Shanghai.  Cartier-Bresson documenterà la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang, e si troverà poi costretto a rimanere per quattro mesi a Shanghai, controllata dal Partito Comunista, per lasciare il Paese pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949). Col passare dei mesi, il suo racconto dello stile di vita cinese “tradizionale” e dell’instaurazione di un nuovo regime (Pechino, Hangzhou, Nanchino, Shanghai), realizzato con totale libertà d’azione, riscuote grande successo sulle pagine di “Life” e delle maggiori altre riviste internazionali d’informazione.

 

 

Il lungo soggiorno di Cartier-Bresson in Cina segna una svolta nella storia del fotogiornalismo: l’agenzia Magnum Photos era stata fondata (con la partecipazione dello stesso Cartier-Bresson) diciotto mesi prima a New York e il reportage cinese proponeva un nuovo stile, meno legato agli avvenimenti, più poetico e distaccato, attento  ai soggetti ritratti e all’equilibrio formale della composizione. Molte di queste immagini sono tra le più famose nella storia della fotografia (per esempio, il Gold Rush in Shanghai).

 

 

 

A partire dagli anni Cinquanta, a seguito di “China 1948-49”, Cartier-Bresson diviene uno dei maggiori nomi di riferimento del “nuovo” fotogiornalismo e del rinnovamento della fotografia. I volumi “The Decisive Moment” (Verve, 1952) e “D’une Chine à l’autre” (Delpire, 1954), con prefazione di Jean-Paul Sartre, lo confermano.  Nel 1958, in prossimità del decimo anniversario di quel primo reportage, Cartier-Bresson si mette nuovamente in viaggio, stavolta in una situazione del tutto differente: per quattro mesi, obbligatoriamente accompagnato da una guida, percorre migliaia di chilometri in Cina per visitare luoghi selezionati, complessi siderurgici, grandi dighe in costruzione, pozzi petroliferi, paesi rurali “modello” sulle tracce del “Grande balzo in avanti” per documentare gli esiti della Rivoluzione e dell’industrializzazione forzata delle regioni rurali.  Di tutto ciò riesce a mostrare anche gli aspetti meno positivi: lo sfruttamento del lavoro umano, il controllo militare, l’onnipresenza della propaganda.

 

 

Ancora una volta, il reportage “China 1958” riscuoterà un grande successo editoriale, con pubblicazioni programmate su scala internazionale, durante la prima settimana del gennaio 1959. Supportato dalla reputazione dell’autore e dalla competenza di Magnum, segnerà in Occidente l’immagine della Cina di Mao fino agli anni Settanta.  All’interno del bookshop della mostra è disponibile il volume “Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-49 | 1958”, edito da 24 ORE Cultura.

 

 

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