LIFESTYLE/ A PISA CON LA STREET ART DI KEITH HARING PALAZZO BLU RENDE OMAGGIO ALL’ARTISTA AMERICANO E AL SUO OMINO ELETTRICO CHE CON I SUOI IDEOGRAMMI HA PRECORSO I TEMPI DEGLI ATTUALI EMOJI

La Pop Art sbarca a Pisa. A Plazzo Blu fino al 17 aprile è in mostra  Keith Haring con una carrellata di ben 170 opere dell’artista americano mai viste prima in Europa. Nel 1989 Haring soggiornò a Pisa. A testimoniarne il passaggio resta il murale “Tuttomondo” su una parete del convento di Sant’Antonio, tappa imprescindibile di un tour alla scoperta della città della Torre pendente. Fino al 17 aprile 2022, l’artista statunitense che seppe dare slancio alla street art ‒ rivendicandone l’utilizzo impegnato e la forte valenza artistica – è protagonista di una grande mostra a Palazzo Blu che ripercorre la sua carriera. Una retrospettiva di ampio respiro, che vale il viaggio. Occasione, quindi, per scoprire Pisa e i suoi dintorni, consapevoli di quanto la cittadina toscana riunisca le tracce di tanti passati diversi, custode di un patrimonio storico e artistico che sa mostrarsi sfrontato – pensiamo alla magniloquente Piazza dei Miracoli – o celarsi tra i vicoli, dietro le facciate di eleganti palazzi, nel sottosuolo. Pisa, del resto, è una città antica che ha saputo, negli ultimi anni, diventare protagonista nel presente, diventando polo d’elezione di un raffinato circuito di arte contemporanea. Nell’esplorarla, si parte però dal suo passato remoto, legato alla cultura etrusco-romana, per poi celebrarne l’epoca d’oro vissuta nel periodo da potente Repubblica Marinara e a seguire la committenza illuminata dei Medici e la nascita di una prestigiosa università – la Normale – nell’Ottocento.

Si può dire che i simboli creati da Haring siano i predecessori degli attuali emoji: le faccine sorridenti, ma anche i cuori, il bambino radiante, l’angelo, il cane che abbaia, il delfino e molti altri. I suoi ideogrammi toccano temi importanti per i giovani – tanto quelli degli anni Ottanta quanto la “generazione SMS” di oggi: l’amore, la vita, la morte, la cultura pop e la politica.

Prevenzione dell’AIDS, diritti dei gay, apartheid, razzismo, uso di droghe, guerra, violenza e salvaguardia ambientale sono i temi che più stanno a cuore ad Haring, che usa i suoi poster per portarli all’attenzione del pubblico.

Haring concede le sue immagini registrate anche per pubblicizzare concerti, eventi musicali e le sue stesse esposizioni. Ma quelle illustrazioni vivide e allegre veicolano sempre messaggi intransigenti.
Haring collabora con diversi musicisti creando opere grafiche accattivanti, controverse o addirittura iconiche per accompagnare i loro pezzi. Una delle sue cover più note è per un album di David Bowie del 1983 e raffigura due omini stretti in un radioso abbraccio: un’immagine semplice che riflette il messaggio di amore e vicinanza dell’album. La musica avrà sempre grande importanza nella vita di Haring, uno dei rari artisti in grado di rendere palpabili i suoni e i messaggi attraverso la sua arte.

 

Piramidi affollate di omini, animali, soli, maschere… il body painting e i totem. L’opera di Keith Haring, sullo sfondo delle affermazioni dell’artista, è lo spazio fra arte vernacolare e arte accademica, fra la creazione e l’appropriazione. I suoi lavori celano poteri misteriosi di provenienza non occidentale, ispirati all’arte azteca, eskimo, africana e afroamericana, nonché a simboli antichi e mitologici.

Keith Haring nasce il 4 maggio 1958 a Reading in Pennsylvania ma si trasferìsce con la sua famiglia ancora bambino a Kutztown. Dimostra sin da subito una grande inclinazione artistica verso il disegno che suo padre incoraggia. I personaggi dei fumetti di Walt Disney esercitano su di lui un’influenza decisiva. Amico di Jean Michel Basquiat, rappresentarono assieme il meglio che la street art abbia potuto offrire nel tempo. Haring infatti sceglie la scena urbana cittadina, riconoscendo nel tessuto metropolitano di New York un luogo ricco di fermenti e di ispirazioni artistiche. Fu proprio sotto l’egida del graffitismo che Haring iniziò a definire la propria identità artistica, divenendo gradualmente consapevole dell’originalità delle proprie creazioni grafiche; celebre l’icona del cane angoloso che abbaia, immagine di vitalità per eccellenza.

 

©Archivio Frassi, Fondazione Pisa, Palazzo Blu

 

A Pisa, l’esposizione – organizzata da Fondazione Pisa e da Mondomostre e curata da Kaoru Yanase, Chief Curator della Nakamura Keith Haring Collection in Giappone – si concentra sull’arte e la vita dello street artist, con un’attenzione particolare a  il murales che Haring realizzò proprio a Pisa nel 1989.

Il progetto nasce da un incontro casuale tra l’artista e il giovane studente Piergiorgio Castellani avvenuto a New York nel 1987. Castellani propone ad Haring di realizzare qualcosa di grande in Italia e l’artista accettò, fu così che prese forma il “Keith Haring Italian Project”. 

Il monumentale dipinto, che occupa una superficie di 180 metri quadri, è divenuto ormai negli anni una delle grandi attrazioni della città di Pisa, custode di una delle ultime grandi opere dell’artista: un inno alla gioia che tutt’oggi è considerato il suo testamento artistico.

 

 

 

 

 

 

La mostra al Palazzo Blu è suddivisa in 9 sezioni, presenta per la prima volta in Europa una ricca selezione di opere, oltre 170, provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection, la collezione personale di Kazuo Nakamura, che si trova nel museo dedicato all’artista, in Giappone.

 

Fanno parte della collezione, e sono in mostra a Pisa, opere che vanno dai primi lavori di Haring fino agli ultimi, molte serie complete quali Apocalypse (1988), Flowers, (1990) e svariati altri disegni, sculture nonché grandi opere su tela come Untitled (1985). Ampiamente riconosciuto per le sue opere d’arte dai colori vivaci e giubilanti, i lavori di Haring sono familiari e noti anche a chi non conosce la sua breve parabola artistica perché i suoi omini stilizzati e in movimento, i suoi cuori, i suoi cani e i suoi segni in generale fanno parte del bagaglio di immagini pubbliche e non solo, in tutto il mondo, e sono proprio queste ad averlo reso un simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni Ottanta.

 

 

 

 

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