LFESTYLE/ IL PONTE DI FERRO: TOTO’ MASTROCINQUE LA BANDA DEGLI ONESTI E LA TRISTE METAFORA DELLA SINDACA RAGGI

Roma ha sempre avuto una certa attinenza con gli incendi… Ci aveva già pensato Nerone a mettere a fuoco la città ma è che i romani in realtà non potevano mai immaginare che avrebbero assistito all’incendio di uno dei ponti più amati della loro città. Ci avevano girato film con Anna Magnani, Alberto Sordi, tanto per restare nel mito della romanità e della Hollywood sul Tevere, lo aveva fatto costruire papa Pio IX, il Papa Re, per la ferrovia Roma-Civitavecchia ed è andato in fumo nell’ultimo giorno della sindaca Virginia Raggia al comune di Roma, metafora dello sfacelo di una città dolorante. Il ponte è anche apparso nel film La banda degli onesti diretto da Camillo Mastrocinque nel 1956 e interpretato da Totò e Peppino De Filippo: nella scena Totò deve sbarazzarsi di una valigia che contiene una matrice e carta filigranata ma una volta sul ponte ci ripensa. Questione differente per Troppo forte di Carlo Verdone del 1986. Il ponte non appare nella pellicola ma una parte importante del film è stata girata nelle immediate vicinanze in via del Commercio, dove il protagonista Oscar Pettinari ha il suo “attico” e al Porto Fluviale, ovvero a pochi metri dalla struttura. Ugo Tognazzi ci passò nel film Il Federale, e anche Sciuscià, il capolavoro del Neorealismo, girato nel 1946 lo vede protagonista. Nel 1951 è il film La città si difende a prenderlo in prestito per le scene come pure  il film Un giorno in Pretura del 1953 e più vicino a noi nel tempo il film del 1977 La banda dei Trucido. Insomma, un ponte sempre vivo nella memoria cinematografica ma ancor di più tra la gente di Roma che lo riconosce e lo sente come suo.

 

 

 

Il Ponte di Ferro, o Ponte dell’Industria è collocato al centro di un sistema urbano lasciato in abbandono e divorato dal degrado, caos, occasioni mancate nonostante i grandi annunci, incendi, disastri ambientali che sono diventati purtroppo la norma a Roma hanno devastato quest’opera nata nel 1963, metafora dell’incuria a cui la gestione Raggi ha abituato questa città. Quando Roma diventa capitale dopo la Breccia di Porta Pia, il ponte diventa carrabile. Il traffico ferroviario si incrementa, il ponticello in metallo con la parte centrale che si alzava per far passare le imbarcazioni non poteva più bastare per sostenere i passaggi di treni tra Termini e Civitavecchia e tutta la dorsale tirrenica. Si decise quindi di realizzare un nuovo ponte in muratura, poco lontano, più adatto anche a servire la nuova Stazione Trastevere. Nel 1911 – esattamente centodieci anni fa – il ponte era già pronto così come pronta era una ulteriore monumentale Stazione Trastevere, e il vecchio Ponte San Paolo, oggi Ponte dell’Industria, detto Ponte di Ferro subisce una mutazione: diventa un ponte adibito al passaggio di autovetture e pedoni.

Nel tempo, nessun progetto, investimenti e ultimamente neppure la  manutenzione con le aree circostanti, e questo vale per tutto il corso del fiume, trasformate in bidonville, in slum, in favelas prive di dignità.

 

 

 

 

Le compagnie di navigazione turistica lungo il Tevere costrette ad interrompere il servizio perché piuttosto che un’amena passeggiata fluviale, il tour si era trasformato in un safari raccapricciante tra rifiuti, ratti e villaggi abusivi. Ironia della sorte, la Raggi all’esordio del suo mandato aveva messo a punto il progetto di spiaggia di Roma, proprio sulla sponda del fiume ma adesso proprio da queste baracche piene di fornelli e bombole a gas pare sia partita la scintilla che ha provocato i cortocircuiti incendiari sul ponte. Era il 2017 quando la sindaca annunciava che “entro la prossima estate la sponda del Tevere nei pressi di ponte Marconi diventerà una spiaggia, sul modello Parigi, anche con campi sportivi”. “Il Tevere è il fiume che attraversa Roma, ma purtroppo non rappresenta una parte viva e pulsante della città a differenza di molte città europee – ha detto Raggi – per questo per la prossima estate ci sarà un progetto che riguarderà un’area di diecimila metri quadrati vicina a a Ponte Marconi con una spiaggia e campi sportivi”. La zona è già stata bonificata e da lì, questa l’intenzione del Campidoglio, inizierà il percorso di recupero del Tevere.
“Vogliamo restituire decoro e vivibilità alle aree fluviali. Per questo Roma Capitale ha creato dei gruppi di lavoro e una app dedicati al monitoraggio delle criticità presenti lungo il tratto urbano del Tevere, per rilevare fenomeni di degrado, presenza di rifiuti e di insediamenti abusivi”. Ecco le dichiarazioni di impegno della sindaca, la foto sottostante mostra invece lo sfacelo.

 

Le cose lasciate senza manutenzione e senza cura si auto-distruggono. Vale anche per le città “eterne”. E così una amministrazione giocata sulle note del fuoco (si è perduto il conto degli autobus incendiati e dei cassonetti in fiamme), si conclude con l’incredibile incendio addirittura di uno dei più importanti ponti sul Tevere, crollato in parte. Il Ponte dell’Industria a Roma tutti lo chiamano Ponte di Ferro in quell’attitudine capitolina a personalizzare i nomi di alcune parti di città per cui Piazza della Repubblica si chiama “Piazza Esedra”, Piazza Buenos Aires di chiama “Piazza Quadrata” e Ponte Palatino “Ponte Inglese”.

 

In realtà all’epoca della sua costruzione, ai tempi dell’ultimo Papa Re (Pio IX Mastai Ferretti), il ponte in questione si chiamava ancora diversamente: Ponte San Paolo. Anche perché il quadrante in cui siamo, quello meridionale della città, era ed è il quadrante di San Paolo Fuori le Mura, importantissima basilica allora e ora e maggiore luogo di culto dell’area. Era un ponte ferroviario. Siamo agli albori della piccola epopea ferrata dello Stato Pontificio che di lì a qualche anno diventerà Italia per opera dei piemontesi. C’era la Stazione Termini (nella zona appunto di Termini, ovvero delle Terme di Diocleziano) dove si attestavano le linee che collegavano con i Castelli Romani e verso Napoli, Anzio e Tivoli. E c’era la Stazione Porta Portese, (poi portata in Piazza Ippolito Nievo nel 1889), dove si attestavano le linee che collegavano con Civitavecchia che era ed è ancora oggi l’importantissimo porto sul Tirreno della città. Si trattava di unire i due tronconi e dunque valicare il Tevere, lo si fece facendo costruire in Inghilterra una passerella in ghisa e acciaio progettata da Jean-Barthélémy Camille Polonceau che poi venne assemblata a Roma da una società belga e infine inaugurata dal Papa e dallo spregiudicato modernizzatore di quegli anni Cardinal De Mérode nel settembre del 1863 dopo mesi di collaudi e prove di carico.

Ma il Ponte dell’Industria è emblematico perché si trova al centro di una zona che racconta il modo in cui è stata sgovernata la città di Roma negli ultimi anni. Non è solo lui ad essere superato, vecchio, insensato per le esigenze contemporanee. Tutto, davvero tutto, attorno a lui è lasciato nel più allucinante abbandono nel quadro di un deficit di visione raggelante. Su entrambe le sponde (quella Ostiense e quella Portuense) che il ponte collega. Di là, sulla sponda sinistra, c’è il grande progetto della “Città dei Giovani” negli ex Mercati generali. Tutto bloccato, da anni. Di fronte la zona dei Gazometri doveva beneficiare di progetti mirabolanti, addirittura una Città della Scienza immaginata vent’anni da fa Renzo Piano ma non se n’è fatto di niente anche per gli alti costi di bonifica dei terreni, l’area continua ad essere in abbandono.

 

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