Roberto Rossellini in una intervista ricorda: “A Porta San Sebastiano vidi un Tank alleato. Io mi incamminai e incontrai quattro soldati con vestiti che non conoscevo. Erano i primi quattro americani. Alle quattro del mattino arrivarono gli americani. Il 21 giugno 1944 i primi soldati americani arrivarono a Roma”. E’ proprio dalla necessità della pace che Roberto Rossellini decise di realizzare un film sulla Resistenza e la Liberazione. “Le riprese iniziarono a gennaio 1945 ma il regista assieme allo sceneggiatore Sergio Amidei cominciarono a pensare al film già a settembre 1944. Per Rossellini, “Bisognava fare la pace a qualunque costo”, (ibidem, pag. 121).
“Mio padre, afferma Renzo Rossellini, aveva vissuto le due guerre e quello che lo preoccupava non era l’estetica ma era la pace”. Ma il film quando uscì a Roma al Quirino non fu compreso dalla critica e neppure dagli intellettuali. Lo rileva il regista Citto Maselli:
“Quando abbiamo visto Roma Città Aperta per la prima volta eravamo tutti dei cretini. Non avevamo capito perchè Roberto Rossellini aveva preso due attori comici come Aldo Fabrizi e Anna Magnani per fare quelle parti cosi’ tragiche”. Noi non capimmo il cinema artistico. Il nostro era settarismo intellettuale” (ibidem, pag. 111-112).
(Rassegna stampa)
Roma Città Aperta”, capolavoro cinematografico di Roberto Rossellini, rivive grazie a “una testimonianza storica su una città e su un’epoca”. E ciò “lo rende un film ancora più prezioso, perchè racconta il clima di sopravvivenza con gli occhi di un bambino, e quindi di gioiosa sopravvivenza”. Così Adriano Aprà, critico cinematografico e regista, ricorda il film di Roberto Rossellini che rivoluzionò il modo di fare cinema, e del quale il “piccolo Marcello” rappresenta l’ultimo testimone di quella avventura filmica che cambierà la storia del cinema per sempre.
(Aldo Venturini, produttore del film, con la sua famiglia)
“Roma Città Aperta “si staglia nella memoria proprio per la qualità drammaturgica di trasformare la realtà bruta in un romanzo appassionante e commovente”, sottolinea Adriano Aprà che ricorda anche come del film ci siano “pochissime fotografie che possono far vedere il set. “Sono scarsissime ed è un peccato. La memoria folgorante di Vito-Marcello ce lo fa immaginare, ce lo fa rivivere”. “Roma Città Aperta, che è stato un film girato in condizioni difficilissime, si protrasse fino a giugno 1945, sei mesi di lavorazione si giustificano solo col fatto che ci sono state diverse interruzioni. C’era la maledetta ricerca di soldi, aggiunge Aprà, poi Aldo Venturini ha salvato il film”, perchè ne diventò il produttore. Ma Roma Città Aperta non risente per niente di queste difficoltà, e questo dimostra anche la grande maestria di Rossellini, contro chi lo ritiene un regista non troppo pignolo”. Tuttavia Rossellini non dava l’importanza storica che il film ha per tutti noi, ma lo considerava un film tradizionale. E’ con Paisà che poi che il regista inventa veramente uno stile nuovo, con un realismo allucinante e allucinato”.
(Vito Annicchiarico, il piccolo Marcello, nel 2015, alla Festa del Cinema di Roma)
“Si parte a caldo, il film viene elaborato da Rossellini e Sergio Amidei, con la collaborazione di altri, subito dopo la liberazione di Roma, nel giugno del ’44 – dice Aprà – lì viene pensato, per poi iniziare a girare nel gennaio del ’45. Riferendosi ad eventi della Resistenza, i personaggi del partigiano, del prete o della popolana fanno riferimento a personaggi reali. La differenza tra realtà e finzione è minima. E’ stato poi girato in condizioni precarie da un punto di vista tecnico e produttivo, con Rossellini che si è arabbattato per recuperare fondi, trovare location o la stessa pellicola. Nonostante questo sorprende la compattezza narrativa del film, una forza narrativa che ha colpito da subito il pubblico. Per le generazioni successive che non hanno vissuto quel periodo si potrebbe dire che uno ha vissuto quel periodo perchè ha visto Roma città aperta”.
(Vito Annicchiarico al Cinema Trevi-Cineteca Nazionale nel 2014)
E’ quindi una sorta di documentario real time, oltre che un capolavoro della storia del cinema: “Certamente – afferma Adriano Aprà – nell’inquadratura finale i ragazzini che hanno assistito a qualcosa di terribile per la loro età come la fucilazione di una persona a loro cara si allontanano sul panorama di Roma in cui in fondo si vede il cupolone che si era visto all’inizio del film dalla parte di piazza di Spagna. Questa chiesa, nel senso della eclesia che unisce tutti, fa apparire questo finale che sembra disperato, un finale di morte, come un finale della vita che attenderà questa città”.
(Vito Annicchiarico, il piccolo Marcello, nel 2017 per le scale del palazzo dove fu girato il film)
Quale altro messaggio lascia Roma città aperta? “E’ il film che ha aperto la porta all’Italia, un paese che usciva dal fascismo si è presentato sugli schermi internazionali, prima negli Usa e poi in Francia, come qualcosa di completamente diverso, un film che parlava di argomenti scottanti e che era girato in maniera diversa. Non a caso in Francia prima e poi in Italia si è cominciato a parlate di Neorealismo”, rileva in ultimo Aprà.
Siamo andati di nuovo a via Montecuccoli con il piccolo Marcello, che ci ha svelato i segreti del film di Roberto Rossellini che ha dato voce a una Roma affamata, ha raccontato la Resistenza e la Liberazione, l’occupazione nazifascista e per la prima volta nella storia del cinema i protagonisti delle vicende narrate nel film erano la gente del popolo. Un film che, come dice il maestro Giuliano Montaldo, racconta anche di droga e di omosessualità. Era il 1945. Era la prima volta.
Roberto Rossellini, ricorda Vito Annicchiarico, mi disse, “fammi vedere dove vivi, fammi vedere dove vai in chiesa”. Io facevo il chierichetto e lo portai nella chiesa che frequentavo sulla via Casilina, e all’oratorio, dove giocavo con i miei compagni a pallone.
“La scena di Anna Magnani che rincorre Francesco, racconta Vito Annicchiarico, fu girata con tre macchine da presa: una di fronte Anna Magnani, una dietro e un’altra mettendo alcune tavole di legno, sopra ad un balcone per riprendere bene tutto ed avere le immagini da ogni angolazione”.
La scelta di girare a via Montecuccoli. era dovuta al fatto che la strada non ha sbocchi, è chiusa, quindi poco frequentata a quell’epoca, e pertanto c’era poco passaggio di auto e di persone, si poteva lavorare bene, in tranquillità per la troupe. L’immagine di Anna Magnani che rincorre Francesco, è una delle più suggestive del film di Rossellini, e della storia del cinema a livello mondiale. Come dice Ascanio Celestini, Anna “vola”….
ABBIAMO RACCONTATO TUTTO IN “ROMA CITTA’ APERTA, VITO ANNICCHIARICO IL PICCOLO MARCELLO RACCONTA IL SET CON ANNA MAGNANI ALDO FABRIZI ROBERTO ROSSELLINI”
Simonetta Ramogida, edizioni Gangemi, 2015
Nel 2016 il Sindacato dei giornalisti cinematografici, SNGCI, presieduto da Laura Delli Colli, ha consegnato a Vito Annicchiarico il Nastro d’Argento “speciale”, nei 70 anni dall’istituzione del premio che proprio nel 1946 fu vinto da Roberto Rossellini e da Anna Magnani.
Un grazie speciale a Laura Delli Colli e ai giornalisti cinematografici.
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