25 APRILE/ LA RESISTENZA SERGIO AMIDEI E UNO STRANO TITOLO DELL’UNITA’

La ricordiamo col volto della splendida Anna Magnani nel capolavoro “Roma città aperta”, mentre con le braccia al cielo cerca di raggiungere il marito arrestato dalle milizie tedesche gridando “Francesco! Francescooo!”.  Teresa Talotta Gullace quando morì aveva 36 anni.  Il 3 marzo 1944, davanti alla Caserma di viale Giulio Cesare è in corso una protesta, decine di donne si riuniscono per pretendere a che i loro mariti, figli e fratelli arrestati dalla Gestapo tornino in libertà. Li hanno portati via il 26 febbraio per condurli nei campi di lavoro forzato in Germania. Tra i manifestanti c’è anche lei,  madre di cinque figli e in attesa del sesto. Hanno portato via il suo Girolamo e lei quella mattina era andata in Caserma per portare a suo marito un pò di pane e patate.
Quando nota suo marito aggrappato alle grate di una finestra tenta di avvicinarlo per dargli qualcosa da mangiare, forse soltanto per dargli conforto. Ma è vietato, un sottufficiale tedesco glielo urla in faccia. A Teresa non importa ed è così che il soldato, senza pietà, le spara un colpo alla gola con la sua Luger d’ordinanza.
Un lago di sangue si apre a terra, è questo ciò che vede Umberto, il figlio di quattordici anni di ritorno da un cantiere tedesco dove era andato per farsi rilasciare un foglio che attestasse che Girolamo lavorava li’, così come gli aveva suggerito di fare suo padre dalla finestra della Caserma di viale Giulio Cesare. Il sangue di Teresa era a terra cosparso di mimose: accanto un carrettino. Era marzo, il mese delle mimose. Umberto ha in mano il libretto di lavoro di Girolamo, vuole dimostrare che suo padre lavora per una impresa tedesca e che essendo già impegnato nello sforzo bellico non dovevano mandarlo in Germania. Ma quando arriva finalmente a viale Giulio Cesare con la prova che suo padre non è un partigiano, non è un comunista, anzi lavora per una impresa tedesca, per lui ci sono solo mimose e sangue. E un folto gruppetto di donne che si avvicina a quel corpo ricoperto di mimose che Umberto non riconosce subito, sotto il tappeto di mimose è impossibile scorgere il volto, ma è quello di sua madre. Lui ancor  non lo sa. Le sente dire: “Poverella! Come l’hanno ammazzata”, Disgraziati! Maledetti!”…
Sull’angolo di viale Giulio Cesare il banchetto con le mimose e un vecchietto. “Avevo pensato che vendesse le mimose”, ricorda Umberto Gullace, “e mi veniva da dire: “Ma che stai a fa’, con tutto sto macello che stai a venne e mimose… ?! E motociclette er mitra”. “Però, aggiunge, non gli ho detto niente. Gli occhi mi vanno poi su quel banchetto e vedo che sotto le mimose c’è il sangue. Mamma mia, ho pensato, che e’ successo qua… Non vedendo mia madre sono andato a via Candia dove prima mi ero recato proprio con lei a casa di una paesana, che vedendomi mi ha detto:  “Umberto vieni qua, stai buono, stai buono, che adesso mamma viene”… E intanto piangeva… Cosi’ ho capito”.
C’è l’assalto al panificio, un giornale clandestino (l’Unità) un partigiano, una popolana, un prete, la resistenza cattolica. Roma Città Aperta è la storia del nostro paese, della Resistenza, della lunga strada per la Liberazione. E’ per questo che il film rimane indissolubilmente legato alla storia e che si ricorda ogni volta in occasione delle celebrazioni del 25 Aprile. “Sul giornale clandestino l’Unità, portato in una riunione da Mario Alicata e Pietro Ingrao, alla quale partecipava anche Sergio Amidei, che avrebbe poi scritto assieme a Roberto Rossellini la sceneggiatura del film capolavoro del Neorealismo, era pubblicato un articolo dal titolo: “Immediata vendetta di una donna uccisa dai tedeschi”. Quel titolo fu notato da Sergio Amidei perchè appariva di difficile interpretazione. Come può infatti una donna uccisa dai tedeschi vendicarsi? Era questo l’interrogativo che lasciava stupiti e senza risposte. Ma quella tragedia lo colpì molto, e proprio da quell’episodio nacque il personaggio della sora Pina interpretata da Anna Magnani. (Roma Città Aperta, Vito Annicchiarico il piccolo Marcello racconta il set con Anna Magnani Aldo Fabrizi Roberto Rossellini, pag. 46 e 47, edizioni Gangemi 2015).
Questa vicenda suscitò orrore tra la gente a Roma. L’episodio passò di voce in voce, di quartiere in quartiere, fu trattato dalla stampa e lo stesso Roberto Rossellini mandò due suoi collaboratori a casa di Girolamo Gullace per chiedere se avrebbero potuto prendere spunto dai fatti accaduti quella mattina del 3 marzo 1944 davanti la Caserma di viale Giulio Cesare per fare un film. Un’uccisione così meschina  non poteva infatti lasciare indifferente una popolazione già martoriata dall’occupazione nazifascista e dai tanti rastrellamenti. Subito si scatena la rabbia di chi ha assistito alla mitragliata. La protesta è tale che i nazisti sono costretti a liberare Girolamo. Così nasce Roma Città Aperta, è per questo che il film è legato indissolubilmente alla Liberazione, alla storia di Roma nel dopoguerra, alla Resistenza, alla vita vera.
                                                                                                         

 

 

 

 

Roberto Rossellini in una intervista ricorda: “A Porta San Sebastiano vidi un Tank alleato. Io mi incamminai e incontrai quattro soldati con vestiti che non conoscevo. Erano i primi quattro americani. Alle quattro del mattino arrivarono gli americani. Il 21 giugno 1944 i primi soldati americani arrivarono a Roma”. E’ proprio dalla necessità della pace che Roberto Rossellini decise di realizzare un film sulla Resistenza e la Liberazione. “Le riprese iniziarono a gennaio 1945 ma il regista assieme allo sceneggiatore Sergio Amidei cominciarono a pensare al film già a settembre 1944. Per Rossellini, “Bisognava fare la pace a qualunque costo”, (ibidem, pag. 121).

 

“Mio padre, afferma Renzo Rossellini, aveva vissuto le due guerre e quello che lo preoccupava non era l’estetica ma era la pace”. Ma il film quando uscì a Roma al Quirino non fu compreso dalla critica e neppure dagli intellettuali. Lo rileva il regista Citto Maselli:

“Quando abbiamo visto Roma Città Aperta per la prima volta eravamo tutti dei cretini. Non avevamo capito perchè Roberto Rossellini aveva preso due attori comici come Aldo Fabrizi e Anna Magnani per fare quelle parti cosi’ tragiche”. Noi non capimmo il cinema artistico. Il nostro era settarismo intellettuale” (ibidem, pag. 111-112).

 

 

(Rassegna stampa)

 

Roma Città Aperta”, capolavoro cinematografico di Roberto Rossellini, rivive grazie a “una testimonianza storica su una città e su un’epoca”. E ciò “lo rende un film ancora più prezioso, perchè racconta il clima di sopravvivenza con gli occhi di un bambino, e quindi di gioiosa sopravvivenza”. Così Adriano Aprà, critico cinematografico e regista, ricorda il film di Roberto Rossellini che rivoluzionò il modo di fare cinema, e del quale il “piccolo Marcello” rappresenta l’ultimo testimone di quella avventura filmica che cambierà la storia del cinema per sempre.

 

 

(Aldo Venturini, produttore del film, con la sua famiglia)

 

 

“Roma Città Aperta “si staglia nella memoria proprio per la qualità drammaturgica di trasformare la realtà bruta in un romanzo appassionante e commovente”, sottolinea Adriano Aprà che ricorda anche come del film ci siano “pochissime fotografie che possono far vedere il set. “Sono scarsissime ed è un peccato. La memoria folgorante di Vito-Marcello ce lo fa immaginare, ce lo fa rivivere”. “Roma Città Aperta, che è stato un film girato in condizioni difficilissime, si protrasse fino a giugno 1945, sei mesi di lavorazione si giustificano solo col fatto che ci sono state diverse interruzioni. C’era la maledetta ricerca di soldi, aggiunge Aprà, poi Aldo Venturini ha salvato il film”, perchè ne diventò il produttore. Ma Roma Città Aperta non risente per niente di queste difficoltà, e questo dimostra anche la grande maestria di Rossellini, contro chi lo ritiene un regista non troppo pignolo”. Tuttavia Rossellini non dava l’importanza storica che il film ha per tutti noi, ma lo considerava un film tradizionale. E’ con Paisà che poi che il regista inventa veramente uno stile nuovo, con un realismo allucinante e allucinato”.

 

 

(Vito Annicchiarico, il piccolo Marcello, nel 2015, alla Festa del Cinema di Roma)

 

“Si parte a caldo, il film viene elaborato da Rossellini e Sergio Amidei, con la collaborazione di altri, subito dopo la liberazione di Roma, nel giugno del ’44 – dice Aprà – lì viene pensato, per poi iniziare a girare nel gennaio del ’45. Riferendosi ad eventi della Resistenza, i personaggi del partigiano, del prete o della popolana fanno riferimento a personaggi reali. La differenza tra realtà e finzione è minima. E’ stato poi girato in condizioni precarie da un punto di vista tecnico e produttivo, con Rossellini che si è arabbattato per recuperare fondi, trovare location o la stessa pellicola. Nonostante questo sorprende la compattezza narrativa del film, una forza narrativa che ha colpito da subito il pubblico. Per le generazioni successive che non hanno vissuto quel periodo si potrebbe dire che uno ha vissuto quel periodo perchè ha visto Roma città aperta”.

 

(Vito Annicchiarico al Cinema Trevi-Cineteca Nazionale nel 2014)

 

E’ quindi una sorta di documentario real time, oltre che un capolavoro della storia del cinema: “Certamente – afferma Adriano Aprà – nell’inquadratura finale i ragazzini che hanno assistito a qualcosa di terribile per la loro età come la fucilazione di una persona a loro cara si allontanano sul panorama di Roma in cui in fondo si vede il cupolone che si era visto all’inizio del film dalla parte di piazza di Spagna. Questa chiesa, nel senso della eclesia che unisce tutti, fa apparire questo finale che sembra disperato, un finale di morte, come un finale della vita che attenderà questa città”.

 

(Vito Annicchiarico, il piccolo Marcello, nel 2017 per le scale del palazzo dove fu girato il film)

 

 

Quale altro messaggio lascia Roma città aperta? “E’ il film che ha aperto la porta all’Italia, un paese che usciva dal fascismo si è presentato sugli schermi internazionali, prima negli Usa e poi in Francia, come qualcosa di completamente diverso, un film che parlava di argomenti scottanti e che era girato in maniera diversa. Non a caso in Francia prima e poi in Italia si è cominciato a parlate di Neorealismo”, rileva in ultimo Aprà.

 

 

 

 

 

Siamo andati di nuovo a via Montecuccoli con il piccolo Marcello, che ci ha svelato i segreti del film di Roberto Rossellini che ha dato voce a una Roma affamata, ha raccontato la Resistenza e la Liberazione, l’occupazione nazifascista e per la prima volta nella storia del cinema i protagonisti delle vicende narrate nel film erano la gente del popolo. Un film che, come dice il maestro Giuliano Montaldo, racconta anche di droga e di omosessualità. Era il 1945. Era la prima volta.

 

 

 

Roberto  Rossellini, ricorda Vito Annicchiarico, mi disse, “fammi vedere dove vivi, fammi vedere dove vai in chiesa”. Io facevo il chierichetto e lo portai nella chiesa che frequentavo sulla via Casilina, e all’oratorio, dove giocavo con i miei compagni a pallone.

“La scena di Anna Magnani che rincorre Francesco, racconta Vito Annicchiarico, fu girata con tre macchine da presa: una di fronte Anna Magnani, una dietro e un’altra mettendo alcune tavole di legno, sopra ad un balcone per riprendere bene tutto ed avere le immagini da ogni angolazione”.

 

 

 

 

 

La scelta di girare a via Montecuccoli. era dovuta al fatto che la strada non ha sbocchi, è chiusa, quindi poco frequentata a quell’epoca, e pertanto c’era poco passaggio di auto e di persone, si poteva lavorare bene, in tranquillità per la troupe. L’immagine di Anna Magnani che rincorre Francesco, è una delle più suggestive del film di Rossellini, e della storia del cinema a livello mondiale. Come dice Ascanio Celestini, Anna “vola”….

 

 

 

 

ABBIAMO RACCONTATO TUTTO IN “ROMA CITTA’ APERTA, VITO ANNICCHIARICO IL PICCOLO MARCELLO RACCONTA IL SET CON ANNA MAGNANI ALDO FABRIZI ROBERTO ROSSELLINI”

 Simonetta Ramogida, edizioni Gangemi, 2015

 

 

 

Nel 2016 il Sindacato dei giornalisti cinematografici, SNGCI, presieduto da Laura Delli Colli, ha consegnato a Vito Annicchiarico il Nastro d’Argento “speciale”, nei 70 anni dall’istituzione del premio che proprio nel 1946 fu vinto da Roberto Rossellini e da Anna Magnani.

Un grazie speciale a Laura Delli Colli e ai giornalisti cinematografici.

 

 

 

 

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