PHOTO/ LA SEDUZIONE E L’ELEGANZA DEL CORPO FEMMINILE NELLE OPERE DI MAN RAY IN UNA MOSTRA A TORINO

1924, NASCE LA FOTOGRAFIA SURREALISTA

 

 

La fotografia surrealista ha il nome di Man Ray. Grande amico di Marcel Duchamp con cui fondò la Società degli artisti Indipendenti. Da New York si trasferisce a Parigi dove diventa il ritrattista di James Joyce, Jean Cocteau. Man Ray, pseudonimo di Emmanuel Radnitzky, nasce a Filadelfia il 27 agosto 1890 da una famiglia di immigrati russi di religione ebraica. Diventa l’emblema della fotografia surrealista a Parigi dove si immanora della cantante francese Alice Prin, chiamata Kiki de Montparnasse, sua musa ispiratrice e modella. Man Ray fu l’artista che usò per primo la tecnica della solarizzazione e interpretò il corpo femminile con l’eclettismo proprio dell’arte surrealista.

 

 

 

 

Ora una mostra fotografica immortala la sua opera completa a Torino, con una esposizione che dura fino a gennaio 2020. Circa duecento scatti presentati come voci narranti; tra le linee sinuose dei corpi e gli sguardi persi si determinano i passi di un viaggio intimo, nuovo. Fotografie scattate negli Anni Venti a Parigi, dove Man Ray diviene protagonista assoluto dello scenario dadaista prima, surrealista poi. Tutto il percorso conduce il pubblico al riconoscimento di una nuova coscienza percettiva, dove la figura di Man Ray è un vissuto in espansione creativa, il comunicatore di una sensualità capace di mostrare se stessa e, allo stesso tempo, di dettare nuove letture.

 

 

Una mostra unica, originale benchè l’opera di man Ray sia conosciuta in tutto il mondo ma imperdibile sia per la qualità delle fotografie esposte sia per il taglio originale nell’accostare l’elemento biografico a quello artistico. Attraverso i suoi rayograph, le solarizzazioni, le doppie esposizioni, il corpo femminile è in continuo mutamento di forme e significati, divenendo astratto, oggetto di seduzione, memoria classica, ritratto realista, in una leggera ed elegante riflessione sul tempo e sui modi della rappresentazione. Chiudono la mostra due nuclei significativi dell’opera dell’autore: The Fifty Faces of Juliet (1941-1955) e La mode au Congo (1937). Un omaggio alla moglie Juliet Browner, dove lei presta la sua bellezza e il fotografo, con fare pittorico, ne traduce l’eleganza in termini artistici. La mode au Congo è invece una commissione: gli viene richiesto di realizzare fotografie di cappelli per un servizio di moda. Qui Man Ray sostituisce i cappelli con oggetti improbabili, come un cestino per il pane, uno spolverino, insomma una lettura ironica del circuito “moda”.

 

 

Negli spazi di Camera è possibile dialogare con la poetica fotografica del maestro surrealista attraverso una poetica in cui il ritmo non è scandito dalla ricerca creativa del fotografo ma dal  mondo femminile, elaborato attraverso le sue visioni del corpo della donna, delle sue percezioni, delle sue trasfigurazioni. Man Ray con le sue  immagini dà forma a una sensualità irriverente, schietta, naturale , immagini “in rosa” che riportano a una vita creativa conclusasi a parigi nel 1976 ed a tutto quel mondo femminile attorno a lui, donne  che con lui hanno collaborato, litigato, da lui hanno appreso e a lui hanno insegnato e che si sono rivelate, nella stessa misura, grandi protagoniste della scena fotografica mondiale. È in questa struttura di racconto che si snoda l’esposizione, prende vita un discorso artistico e umano, portando in scena una storia inedita insieme a capolavori noti.

 

Accanto a Man Ray, nella mostra di Torino in questa lettura intrigante della figura femminile, entrano in scena anche Lee Miller, Berenice Abbott, Meret Oppenheim e Dora Maar, compagne, complici, artiste…modelle, alla fine alcune di loro diventerenno esse stesse fotografe, come Berenice Abbott, assistente brillante, audace, presto si libera della personalità di man Ray per affermare il proprio linguaggio fotografico.

 

Sylvia Beach, proprietaria della leggendaria libreria Shakespeare and Company diceva: “Essere fotografati da Man Ray o da Berenice Abbott significa essere qualcuno”. E anche Meret Oppenheim presta il suo corpo nudo a una delle serie più celebri firmate da Man Ray Érotique-voilée (1933) e al contempo produce opere d’impronta surreal-femminista.

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