“Farda tra i profughi” di simonetta ramogida

5.1.2

FARDA TRA I PROFUGHI

 

 

5.1.4

 

“Farda scioglie i lunghi capelli biondi, legati in una coda di cavallo e mi chiede di fotografarla così, come una donna non come una clandestina curda. Poi mi da un pezzettino di foglio a quadretti bianco come quelli che si usano nelle scuole elementari e mi scrive il suo nome. Vuole averla poi quella foto Farda e mi chiede di mandargliela. mi indica la roulotte che le hanno assegnato, la numero 145. Farda la fotografia vorrebbe averla lì, come fosse un indirizzo privato. ma è solo una roulotte”. Inizia così il viaggio fotografico attraverso i profughi nel campo Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto di Manuela Metelli e Simonetta Ramogida. Con l’incontro di una donna che non vuole rinunciare alla sua femminilità nemmeno in un campo di clandestini sbarcati con una delle tante carrette del mare in Calabria. Farda è tra le roulotte dove vive assistita dai volontari della Croce Rossa e si impone per prima con tutta la sua femminilità. Ce ne sono circa 500 di roulotte nel campo profughi di Isola Capo Rizzuto nell’agosto del 2000 quando le due autrici decidono di realizzare un reportage. Sono soprattutto curdi. Tra loro anche qualche pakistano, alcuni afgani e pochi senegalesi. superata l’immediata diffidenza, alla fine anche gli uomini, dapprima recalcitranti, decidono di farsi fotografare con le loro famiglie. mentre fanno la fila per prendere l’acqua minerale, o mentre guardano la televisione, mentre trascorrono il tempo con i loro figli, mentre aspettano che finalmente passi il tempo e li porti fuori di li’. C’è tutta l’attesa di una vita migliore per i profughi assistiti nel campo Sant’Anna, c’è la speranza dei giorni futuri che saranno per forza di cose più generosi. c’è anche il dolore di un popolo in fuga e che ha dovuto abbandonare tutto, ma pure il desiderio del sole e delle lune che verranno, e di un benessere desiderato anche se magari visto solo in televisione. Poi ci sono i giovani che hanno già imparato a confondersi con i ragazzi occidentali. gli sguardi, le rughe, i volti sofferenti di chi però non rinuncia a fare una nuova scommessa con la propria vita. Il campo che sembra non finire mai, i panni stesi nel recinto che delinea l’area militare, i bambini che ci corrono dietro ovunque, che ci vengono incontro e ci seguono in lontananza. nell’uso degli obiettivi prevale l’immagine ‘grandangolata’, che obbliga ad una ripresa ‘diretta’, ad un ‘contatto’ molto ‘ravvicinato’, ad un sorriso lanciato e ad uno ricevuto in cambio di un click.

sotto il patrocinio del comune di Roma
assessorato alle politiche culturali

in collaborazione con la Croce Rossa Italiana
courtesy museo Ken Damy, Brescia
grazie al contributo della Fondazione Cariplo

 

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