Chi sono

Una fotografa con la passione per i numeri. Prima quelli delle banche, assicurazioni, manovre finanziarie. Poi quelli delle classifiche dei migliori vini, degli chef più creativi, dei ristoranti più lodevoli.

 

Che ci faccio io qui?

Diciamolo…

 

Giornalista professionista, ho fatto studi di economia e finanza e sono rimasta all’Università la Sapienza di Roma come assistente del professor Giovanni Caravale per alcuni anni, con lui ho studiato Ricardo, Marx, Keynes e tanti altri economisti. Ho coordinato un gruppo di ricerca su Piero Sraffa: Produzione di Merci a mezzo di Merci. Mi divertivo molto. Ho conosciuto Federico Caffè, Paolo Baffi, Aldo Moro, che emozione a pensarci oggi. Poi ho deciso di fare la giornalista economica. Mi sono iscritta alla Luiss dove ho frequentato la Scuola di Giornalismo e Comunicazione. Con la professione ho seguito per molti anni la finanza dal punto di vista di chi la fa: banchieri, assicuratori, broker, analisti finanziari, con uno sguardo sempre attento però alle associazioni dei consumatori che nascevano proprio allora. Era la fine degli anni ’80. In America le associazioni dei consumatori erano già molto presenti. In Italia ancora no. Una esperienza che certamente mi ha arricchito molto. Mi sono imbarcata in un’avventura al Messaggero dove c’era Claudio Alò allora caposervizio alla redazione economica, che mi offrì la possibilità di scrivere su quello che fu il primo inserto di economia: “I nostri soldi”. Bella esperienza! E così, seguendo la finanza e i vertici di Francoforte, la nascita della Bce e poi i congressi Forex-Atic ho iniziato a scrivere, alla fine di quei lunghi vertici tra banchieri, anche del banchetto di fine congresso, del cibo sulla tavola al termine della kermesse per allentare un pò la tensione dopo una giornata di lavoro, in cui arrivavo a scrivere anche venti, trenta take d’agenzia. Con una grande responsabilità considerando che non era raro, che alle notizie che pubblicavamo assieme agli altri colleghi delle altre testate, magari c’era a volte anche una reazione della Borsa… Così l’ultimo pezzo della giornata per me era diventato il menù del banchetto: che tipo di carne o di pesce era stato servito, quale cottura, accompagnato con quale vino. Non sapevo che così facendo gettavo un semino per una nuova professione, quella della giornalista enogastronomica!

 

 

Ed eccomi qui. Ho iniziato a lavorare a Prima Comunicazione e al Messaggero, poi all’Agi, all’Ansa e Asca successivamente diventata Askanews dopo la fusione con Tm news,  sempre nella redazione economica. Miei articoli sono stati pubblicati anche su Paese Sera, Internazionale e la Gazzetta del Mezzogiorno. Contemporaneamente ho coltivato la mia passione per la fotografia. Ho fatto diverse mostre fotografiche (La Magia dei Ponti, Farda tra i Profughi con la Croce Rossa; Tunisia 1992-Viaggio nel deserto e Marocco 1993 con il Museo Ken Damy). Sono diverse le mie fotografie pubblicate su giornali come Vanity Fair, Prima Comunicazione, Reflex, o su siti web quali il Sole24ore.com, Repubblica.it. Ho seguito un corso per la scrittura di una sceneggiatura, poi invece di scrivere una sceneggiatura, ho scritto un libro sul cinema “Roma città Aperta, Vito Annicchiarico il piccolo Marcello racconta il set con Anna Magnani Aldo Fabrizi Roberto Rossellini, edito da Gangemi. Sono una giornalista di cinema, iscritta al SNGCI, il sindacato dei giornalisti cinematografici. Mi sono occupata anche di turismo e di enoturismo, così importante in questi anni in cui viene celebrato il cibo come cultura. Ma poichè ho incentrato i miei studi sui diritti e sugli aspetti economici della società, riflettendo sul diritto al lavoro e su come sia cambiato negli ultimi decenni il mercato del lavoro,  ho scritto un secondo libro dal titolo: “Le molestie morali, se incontri il cannibale, uccidilo”, edizioni Gangemi. Un libro che parte da lontano, dalla mia formazione universitaria e dagli approfondimenti sui temi del lavoro, del giornalismo, delle discriminazioni, dei diritti calpestati delle donne, delle norme mai applicate per quella che si definisce parità di genere, la cui locuzione allontana dalla comprensione invece di renderla in tutta la sua chiarezza: vuol dire “uguali”, uomini e donne sono “uguali”, anche di fronte al reddito, anche nella busta paga. Lo dice la legge ma tutte le aziende lo ignorano, è un diritto, non è un problema etico.

 

 

Con questo sito cerco di mantenere vivi i miei interessi, è per questo che sono differenti i temi trattati, tra cui anche i diritti e il lavoro. Alla Sapienza ho studiato Diritto del Lavoro con Gino Giugni, la mia tesi di laurea era un contributo sul Dualismo economico e i riflessi nel Mercato del Lavoro, temi caldi negli anni passati. Temi caldi anche oggi: ho avuto incarichi sindacali in Associazione Stampa Romana, sono stata Responsabile dello Sportello Mobbing e Presidente della Commissione Pari Opportunità dell’Asr, ho fatto parte della Commisione Pari Opportunità della Federazione della Stampa (Fnsi), partecipando alla messa a punto del cosiddetto Manifesto di Venezia: per una corretta informazione sulle donne oggetto di violenza. Era il 2017.

Con il sindacato dei giornalisti ho partecipato ad alcune pubblicazioni “Maltempo in redazione”, “Se il giornale da’ il mal di capo”, e successivamente “E’ la stampa, bellezza!”. Tutte analisi volte a sottolineare come si vive nelle redazioni, o per dirla con Win Wenders lo stato delle cose

 

Al vino mi sono accostata apparentemente per caso. In realtà mio nonno produceva un vino bianco in Calabria da uve di grecanico, e in famiglia c’era chi portava in tavola un’ottimo rosso da gaglioppo e vitigni autoctoni. Ricordo le botti davanti al portone del catoio, la cantina, dove c’era il palmento, la vasca per la pigiatura dell’uva e la fermentazione del mosto. Io bambina in vacanza al mare al sud assistevo attonita ai movimenti di mio nonno che con i piedi quasi come in una marcia pigiava i grappoli di cui a volte mi pare ancora di sentire l’odore acre delle uve.

 

La mia è una famiglia del sud che è quindi e per definizione sempre stata “allargata” con zii, cugini almeno fino al terzo grado, nipoti, consuoceri dove la cucina mediterranea è un “asset” : mia madre produce marmellata d’uva bianca anche da una pergola della casa al mare. A novembre passa i pomeriggi in frantoio dopo la raccolta delle olive in campagna, dono di mia nonna che produceva anche il grano nei campi poco distanti dal mar Jonio e che allevava il baco da seta e poi ne lavorava i filati al telaio. L’autunno in campagna porta ricchezza, quando le castagne cadono dagli alberi a più di mille metri di altezza si fa festa, il bosco regala tappeti di funghi porcini e di ovoli, gallinelle, frutti della terra pronti per essere cucinati o in alternativa conservati per l’inverno. Questa sì che è economia… Sono cresciuta osservando quello che la terra può donare e come si possono trasformare la farina e tutti gli altri ingredienti nella cucina di casa. I miei nonni facevano anche il pane, il sapone ricavato dal grasso del maiale o da quello che il frantoio scartava nella produzione dell’olio. E poi tutti i tipi di salumi: soppressata, salame, pancetta, carne salata, per non parlare delle alici sott’olio che oggi invece si comprano al supermercato.

Conservo come dono del mio corredo i canovacci realizzati con tessuti di ginestra lavorata al telaio. Sono bianchi e azzurri, come fossero provenzali, quindi alla moda. Invece no. Sono stati fatti in Calabria a inizio secolo da mia nonna. Mia madre me li ha donati solo pochi anni fa perchè era lei che li voleva custodire.

Di tutto questo riconosco i colori così definiti da non sembrare mai tenui, i sapori forti, i profumi che mi riportano lì, in quell’angolo di Mediterraneo denso dell’odore di finocchietto selvatico misto a ginestra, ortica e canne al vento  more selvatiche dove andavo a raccogliere gli anemoni e gli asparagi che crescevano sulle colline vicino al mare.

 

La prima marmellata che ho sperimentato, fatta cioè dalle mie mani, è stata di more selvatiche, nascevano vicino ai canneti che costeggiavano il mare. Poi sono passata a quella di arance, che raccoglievo in un agrumeto vicino al mare. Era di mio nonno. C’erano anche i mandarini e i limoni. Le marmellate le ho sperimentate quasi tutte, anche quelle di fragole, frutti di bosco misti, fino alla muosse di cipolle di Tropea o a quella di castagne. Mi diverto a preparare gustosi cocktail in cui aggiungo anche delle amarene che conservo io stessa. Ho un “aperitivo della casa” che introduce le mie cene con gli amici, e continuo a dedicarmi a quel patrimonio immenso che è l’enogastronomia in Italia, avendo ormai capito che se metti un calice di vino al centro tutto il resto ruota attorno….

Sembra un’affermazione un pò azzardata? Proviamo a elencare: l’agricoltura, il commercio, l’economia (negli anni della crisi è stato l’unico settore in controtendenza, cioè in crescita con effetti benefici sul pil), le relazioni internazionali, la comunicazione e il marketing, la pubblicità e il design (le etichette delle bottiglie di vino sono sempre più sofisticate), e quindi l’arte (sono molte le cantine che ospitano Mostre di pittura e di fotografia), il turismo (l’enoturismo è la nuova frontiera del tempo libero: viaggio, assaggio il vino e i prodotti della terra locali, quindi compro souvenir enogastronomici e li porto a casa per ricordare assaporandoli le emozioni che quel luogo mi ha dato. E infine naturalmente l’agroalimentare e la distribuzione, tutto quanto rientra nel food con gli abbinamenti vino e cibo, e cibo e olio, che però ormai comprende anche il vegano, il glutin free e quindi il benessere e la salute, il fitness: anche i cardiologi del resto raccomandano ormai un bicchiere di vino al giorno. Almeno…

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