WINE/ VINITALY: SALE A 6,36 MILIARDI L’EXPORT DEL VINO

L’export del vino italiano si prepara a festeggiare a fine anno il traguardo di dieci record storici consecutivi, con un controvalore di 6,36 miliardi di euro e una crescita del 2,9% sul 2018. Un quadro che consolida il vino del Belpaese al secondo posto tra le superpotenze enologiche mondiali (la Spagna, terza, perderà quasi il 7%) ma che lo allontana da una Francia sempre più leader grazie a un balzo commerciale fissato a +7,8% consentendole così di superare per la prima volta la soglia dei 10 miliardi di euro di export. Il computo finale sull’andamento del mercato del vino è stato anticipato oggi dalle stime dellOsservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor su base doganale nel corso di wine2wine l’evento di formazione e networking targato Vinitaly in corso oggi e domani a Veronafiere.

 

 

Secondo l’Osservatorio, che ha analizzato i trend dei primi 7 Paesi esportatori (Francia, Italia, Spagna, Australia, Nuova Zelanda, Cile, USA) incrociando i flussi dei 10 principali Paesi mondiali della domanda, il 2019 chiuderà in positivo per il commercio del vino italiano ma ancor più a livello globale. L’incremento import delle ‘sette sorelle del vino’, nonostante l’incertezza sui dazi e le crisi congiunturali, sarà infatti del 3,6%, con punte di eccellenza di Nuova Zelanda (+10,2%) e Cile (+5,8%) mentre virano in negativo anche Australia (-0,3%) e Usa (-3,7%).

«L’osservazione dei mercati ci restituisce una fotografia altamente competitiva del settore – ha detto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani –; una competizione cresciuta in maniera direttamente proporzionale a un business sempre più decisivo per le economie dei singoli Paesi. Il nostro compito è portare valore aggiunto al prodotto-Italia attraverso un’innovazione di processo e di sistema in grado di alzare le quote del nostro mercato. Come Vinitaly, sarà importante l’incremento di buyer statunitensi e cinesi previsti per la prossima edizione, in cui si avvierà tra l’altro il progetto Impact factor, che prevede un’interazione con le imprese per ottimizzare i flussi dei buyer, anche grazie alla tracciabilità garantita dalle nuove tecnologie».

La performance italiana indica ampi spazi di miglioramento, a partire dal prezzo medio (in calo del 2%) fino a una maggiore reattività sui mercati emergenti e a una minor dipendenza da piazze storiche sempre più mature (Germania e Regno Unito).

«Inutile dire che la partita si gioca soprattutto in Asia – ha proseguito Mantovani –, dove vogliamo essere decisi e decisivi. Infatti, col nostro partner cinese abbiamo costituito una società compartecipata, la Shenzhen Baina International Exhibition, per l’organizzazione di WineToAsia, in programma dal 9 all’11 novembre 2020 nel nuovo quartiere fieristico Shenzhen World».

La prima edizione di WineToAsia, evento b2b, prevede la partecipazione di 400 espositori e si configura fin dall’inizio di respiro internazionale, con una presenza di aziende italiane, europee ma anche dalla Cina e dal Nuovo Mondo, coinvolgendo anche le principali imprese delle tecnologie protagoniste a Enolitech.

Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini: «Il 2019 vede un ulteriore incremento dell’export di vino italiano, con aumenti significativi nei mercati come il Giappone dove l’accordo di libero scambio con l’Unione Europea ha permesso una facilitazione degli scambi. Il tutto in uno scenario di mercato che all’opposto è dominato da rigurgiti protezionisti e guerre commerciali che non giovano affatto alla crescita dell’export, Italia compresa. Se infatti è assodato come lo sviluppo del commercio internazionale permette una crescita del Pil e dei redditi, è altresì dimostrato come il consumo di vino sia fortemente sensibile al variare dei redditi: dove questi crescono, il consumo aumenta in misura più che proporzionale e viceversa. In buona sostanza, il rischio che sembra emergere per i prossimi anni è quello di un rallentamento generale del commercio internazionale di vino che necessariamente interesserà anche i nostri vini».

Complessivamente il made in Italy è dato in rassicurante recupero con i suoi vini fermi (+3,3%), mentre gli sparkling – protagonisti dell’exploit negli ultimi anni – ‘rallentano’ a +5,8%, per effetto anche della contrazione in UK. Il calo del prezzo penalizza infine gli sfusi (-10%). Nel dettaglio, la domanda di vino italiano vedrà il Giappone campione di crescita, con un aumento a valore di oltre il 17% a quasi 200 milioni di euro, seguito dalla Russia – in forte ripresa (+11,1%) anche dopo la buona performance dello scorso anno – e dal Canada con +6,2%.
Bene gli Usa (+5%), primo mercato al mondo con una chiusura prossima a 1,8 miliardi di euro, anche se l’incremento sarà inferiore alla media import generale (+7,5%) e soprattutto al +11,4% della Francia (vicinissima ai 2 miliardi di euro), condizionata però in positivo dalla corsa al prodotto in fase di pre-dazi aggiuntivi, che si faranno sentire specie sulla fascia media dei rossi e sui rosè soprattutto a partire dai primi mesi del 2020.
Virano in negativo la Gran Bretagna (-2,8%), per effetto di una decisa diminuzione della domanda di sparkling italiani, la Svezia (-0,8%) e la Cina (-3,8%), dove però il Belpaese farà meglio della media import del Dragone grazie a un buon recupero nella seconda parte dell’anno.
Il modello economico-statistico utilizzato per le stime previsionali a tutto il 2019, lo stesso che lo scorso anno ha registrato uno scostamento rispetto ai dati finali ufficiali dello 0,46%, considera le importazioni di vino totale e per principale categoria nei diversi mercati target, di fonte doganale che registra i flussi per origine e non provenienza. Questa diversa metodologia di rilevazione, unita alle differenze insite nei prezzi all’export rispetto all’import (i primi FOB, i secondi CIF), alle discrasie temporali intercorrenti tra registrazione della spedizione e dell’arrivo del prodotto, spiegano le differenze esistenti tra il vino esportato in un mercato da un paese e l’import del vino dallo stesso paese nel mercato target. Inoltre, per una diretta ed immediata comparazione delle tendenze in atto da parte degli stakeholder del settore e degli operatori italiani, il modello restituisce valori in euro e non nella valuta locale del mercato analizzato. Ciò fa sì che le variazioni calcolate sull’export incorporino anche le fluttuazioni avvenute nel tasso di cambio con l’euro.

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