WINE/ GARIBALDI BRINDO’ CON IL VINO ORVIETO PRIMA DI PARTIRE DA TALAMONE VERSO LA SICILIA 5 CANTINE PER RISCOPRIRE QUESTO VINO

Cinque cantine e un sogno, rilanciare i vini Orvieto.  Il leit motiv,  i vini Orvieto tradizionalmente considerati abbinabili al pesce, in realtà si sposano bene con la carne bianca, come coniglio o pollo, non è più sufficiente a ridare lustro a questo vino paglierino, secco, amabile con un leggere retrogusto amarognolo, che ha una storia antica come quella degli etruschi. Partecipando ad un evento organizzato da 5 cantine di vini Orvieto a Roma abbiamo riscoperto le qualità di questo vino. Il menù degustazione a base di pesce, ne ha disvelato alcune qualità come la freschezza e la mineralità. Alcune cantine sono bio anche da venti anni, qualcuna si trova in area non molto lontana dal lago di Bolsena e tra quelle colline si trova il pesce di lago, che se cucinto bene non ha nulla da invidiare a quello di mare, peraltro meno costoso. In ogni caso, abbinati alla carne o al pesce, i vini Orvieto sono risulati veramente gradevoli, di più quelli del 2018, ma anche i vini delle annate precedenti soprattutto Mottura, hanno dimostrato che i vini sanno reggere l’annata passata…

Per presentare un nuovo progetto un gruppo di produttori della zona di Orvieto, accomunati dalla stessa filosofia produttiva, ha deciso di unire le forze per promuovere insieme le peculiarità del proprio territorio: Sono la Cantina Neri, Tenuta di Salviano, Madonna del Latte, Palazzone e Sergio Mottura. Si tratta di cinque realtà rappresentative. Aziende storiche, radicate nel territorio, pioniere nella vinificazione di vitigni autoctoni, che hanno scommesso su Orvieto poiché da sempre hanno creduto nelle sue potenzialità.

 

DIECI CALICI E UN MENU’ A BASE DI PESCE

 

Per cominciare l’ombrina affumicata con pomodorini sott’olio, delicatissima al palato, è stata servita con vini della produzione 2018 di ognuna delle cantine partecipanti alla degustazione. L’Orvieto viene considerato all’estero come un vino a basso costo, in realtà la qualità la fa il produttore lavorando seriamente, ma la grande qualità la fa il terroir. Probabilmente è necessario per questo vino lavorare molto sul marketing e la comunicazione perchè risulta sottostimato rispetto ai risultati che può dare come dimostrano i cinque amici vignaioli che si sono associati per rimettere in moto la commercializzazione di un vino di cui ben l’80% viene venduto sfuso, una scelta che alla lunga danneggia la valorizzazione del vino stesso.

 

 

Dopo la presentazione delle differenti cantine, abbiamo degustato per la tenuta Salviano  di Giovanni Incisa, il Salviano 2018 Orvieto Classico Superiore, per la cantina Madonna del Latte, l’Orvieto Classico Superiore 2018, per la cantina Sergio Mottura il Travugnano Orvieto 2018, per la cantina Enrico Neri il Ca’ Vite Orvieto Classico Superiore 2018, e infine per la cantina Palazzone il Terrevinata Orvieto 2018.

Il vino Orvieto nasce come uvaggio. L’Orvieto ha due caratteristiche, si beve facilmente, non stanca mai per la sua sapidità, per il suo carattere, risulta semplice perchè appena terminata una bottiglie se ne può stappare un’altra, non stanca.  E’ inoltre un vino con una grande capacità di abbinamento (carni bianche, baccalà, pesce) e una grande bevibilità.

 

 

E’ arrivato poi il risotto verde, in un letto cremoso di basilico e prezzemolo, alici, uova di lompo e dadini di pane abbrustolito. Sempre abbinato al vino bianco Orvieto, abbiamo assaggiato poi il Salviano 2015, il Ca’ Vite 2008, il Travugnano Mottura 2010 e il Palazzone 2007 oltre all’Orvieto Madonna del Latte 2014, per verificare la tenuta di questi vini anche nel tempo. Il risultato è stato mediamente positivo quanto a tenuta, ma rispetto a cibi più pepati la preferenza va accordata ai vini più recenti, quindi l’annata 2018.

 

 

Abbiamo poi assaggiato le seppie alla griglia con insalata riccia. L’Orvieto è un vino che conta 14 milioni di bottiglie, Alcune cantine, come la Giusepe Mottura sono passate al bio, e usano solo vitigni autoctoni. In particolare Giuseppe Mottura , azienda biologica da 20 anni, utilizza per i suoi vini grechetto, procanico, malvasia, verdello. I cinque produttori dichiarano di non utilizzare vitigni internazionali, e che il declino dell’Orvieto, è nato proprio quando il disciplinare ha consentito l’ingresso per la denominazione dei vitigni internazionali. L’Orvieto ora deve essere reinventato, non riscoperto, dicono. La cittadina di Orvieto è una delle zone di produzione del vino più antiche d’Italia. Fin dai tempi degli etruschi il vino veniva prodotto in grotte scavate nel tufo con l’utilizzato di un sistema basato su 3 livelli:

nel primo livello la forza di gravità pigiava l’uva accumulata perciò si formava il mosto che andava incontro alla fermentazione.

Nel secondo livello avveniva la svinatura ottenendo così un prodotto aromatico dai sentori fruttati che maturava nel terzo livello dove veniva stoccato. La fama di questo vino era tale che pittori come Pinturicchio e Signorelli chiesero un contributo in vino per i lavori svolti all’ interno del Duomo di Orvieto. Negli anni Orvieto è diventato punto di riferimento per i vini bianchi della penisola, basti pensare che questo vino venne usato da Garibaldi ed i suoi Mille per brindare prima della partenza da Talamone alla volta della Sicilia.

Nel 1971 l’Orvieto diventa una DOC (Denominazione di Origine Controllata); inoltre dalla vendemmia 1997 è possibile produrre l’Orvieto con qualifica “Superiore”, ottenuto grazie ad una diminuzione della resa per ettaro, ed aumentando il limite del titolo alcolometrico minimo a 12%.

 

A solleticare il palato infine, i totanetti saltati in panzanella alla romana. Una bontà ricca di sapori e freschezza.

 

Dopo una degustazione così… ho saltato il dolce e il vino liquoroso che lo accompagnava… Alla prossima!

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